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Georges Khodr, Metropolita del Monte Libano: Un figlio di Tripoli, città del Mediterraneo

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George Khodr
George Khodr

ABCDell'Ecumene

Antoine Courban* per Finestra ecumenica
* Cristiano ortodosso, medico docente di epistemologia, collaboratore del quotidiano libanese L’Orient – Le Jour.

Potrei accostare Georges Khodr a san Basilio Magno, il modello per eccellenza del vescovo pienamente realizzato: il vescovo è il buon pastore del suo gregge, al contempo eminente teologo e uomo dal cuore magnanimo, debordante di filantropia, ma anche amministratore geniale. Potrei dire molte cose su Georges Khodr, il grande metropolita di Byblos e Botrys in Phoenicia Maritensis (Libano), che ha seminato ovunque i semi dello Spirito, non solo nella sua eparchia ma ben al di là della sua Chiesa ortodossa di Antiochia che ama profondamente e che considera come una sorgente di acqua viva che disseta tutto l’Oriente.

Alcuni, tra i cristiani ortodossi, lo venerano in una misura nella quale lui ha sempre rifiutato di riconoscersi. Mi ripeteva sovente: “Non bisogna idolatrare il maestro, bensì superarlo”; infatti, se non si riesce a superarlo, questo significa che il maestro ha fallito la missione affidatagli dallo Spirito oppure che l’allievo non ha spalancato le porte del suo “cuore intellettivo” affinché lo Spirito vi potesse passeggiare a modo suo.

Altri, membri di altre Chiese o religioni (cattolici, protestanti, musulmani), diffidano di lui, considerandolo un rivale odioso. È vero che Georges Khodr non ha mai accettato alcun compromesso a danno di ciò che considera essere il “discorso retto”, cioè la “retta opinione” secondo la traduzione del termine “ortodosso” nella lingua araba che è la sua e per la quale nutre un amoroso affetto. Ma la “retta opinione” non deve mai essere confusa con la verità assoluta. È così che, per esempio, un giorno mi ha detto: “Se adesso ti scomunico per eresia, vuol forse dire che lo Spirito santo ti ha amputato dal corpo di Cristo?”.

Ma preferisco evocare Georges Khodr come il figlio della città di Tripoli in Libano. Oggi si parla di questa città – dove io stesso sono nato e cresciuto – come se fosse un’altra Kandahar dei talebani o un’altra Raqqa dell’Isis. Eppure, nulla di più falso. Anche se nonagenario, Georges Khodr continua tuttora a tornare nella sua città natale ogni domenica dopo la Divina Liturgia per poi rientrare alla sua casa episcopale di Broummana, rannicchiata tra le pinete del monte Libano.

Ho usato a proposito il termine “casa” e non “residenza” o “palazzo”. Dopo la distruzione della sua sede episcopale di Hadeth, alla periferia di Beirut, durante la guerra civile in Libano, mons. Georges si è rifugiato in una piccola casa, più che modesta, di Broummana. Vive lì in affitto e ogni cosa in questa dimora mostra l’umiltà della gente semplice che mons. Geiorges tanto ama. La sua opinione sulle famiglie borghesi che frequenta con gioia dipende dal modo che hanno di trattare il loro personale. A casa sua, nessun salone di ricevimento, niente decorazioni dorate, nulla di lussuoso. La porta è sempre aperta. Basta bussare per essere ricevuti, se mons. Georges è in casa. Nessuna di quelle formalità che innalzano una specie di muro tra chi presiede la tavola eucaristica e un qualsiasi invitato al banchetto. La sua sala da pranzo, alla quale gli capita di invitare personalità importanti, consiste in una tavola in mezzo alla cucina. Nonostante questo, o proprio in virtù di questo, Georges Khodr annovera tra i suoi ospiti i più grandi intellettuali del Libano che i salotti mondani si contendono da decenni.

È a “Tripoli-la-Profumata” (طرابلسالفيحاء ), la città dai mille frutteti e giardini, che Georges Khodr è cresciuto. Una città a maggioranza musulmana, ma dove la dolcezza di vivere si può quasi toccare con mano tanto riempie l’atmosfera con la sua concretezza. In primavera odora del profumo degli aranceti in fiore e delle malvarose. In estate, la brezza marina la copre di una leggerezza iodata che si infrange sui contrafforti della sovrastante catena montuosa del Libano per poi ricadere di sera, rinfrescata dall’aria che scende dalle vette, e addolcire le serate in famiglia o tra amici. D’autunno, invece, l’aria della città si inebria del profumo ineguagliabile dei gelsomini e delle tuberose.

È in mezzo a questi alberi e ai loro profumi che Georges Khodr ha frequentato il Collegio dei Fratelli delle Scuole cristiane fino alla maturità. Figlio di una famiglia ortodossa, educato dai cattolici al cuore di una città a maggioranza musulmana: questa è l’immagine che permette di capire l’anima di Georges Khodr. A chi gli esprimeva rammarico nel vedere la cattedrale di san Giorgio di Tripoli attorniata dalle moschee della città vecchia mamelucca, Georges Khodr rispondeva: “Le moschee fanno la guardia alla Chiesa, così che noi possiamo suonare in tutta sicurezza la campane della Resurrezione e lodare a nostro piacimento la Santa Trinità”. Alla fine della Quaresima, i fedeli cristiani smettevano di salire sulle tribune della cattedrale perché queste erano riservate ai musulmani: dalla domenica delle Palme fino alla Veglia pasquale gli abitanti musulmani della città vecchia venivano e, per tradizione, salivano sulle tribune delle nostre chiese per assistere alle nostre processioni e alle nostre cerimonie. Pregavano con noi? Probabilmente no. Ma erano sempre lì con noi in occasione delle nostre più belle festività.

Non lontano dalla cattedrale San Giorgio si ergeva la chiesa di San Nicola, sulle mura, perché era stata costruita nel XIX secolo lungo le mura della città vecchia mamelucca, quando i cristiani hanno cominciato ad abitare all’esterno delle mura in una via che ancora oggi porta il nome di “via delle Chiese” e in cui si trovavano l’una accanto all’altra non meno di una decina di chiese di tutte le giurisdizioni cristiane. A suo tempo gli ortodossi possedevano nella città vecchia mamelucca una cappellina dedicata alla Nostra Signora, addossata a un oratorio musulmano (mousalla). Quando traslocarono verso le mura, donarono la loro cappella ai mussulmani perch>é potessero ingrandire il loro oratorio e farne una moschea, che esiste ancora oggi. I musulmani offrirono come segno di gratitudine un vecchio saponifico così che gli ortodossi potessero costruire ua chiesa, divenuta San Nicola. Erano durante l’impero ottomano.

Georges Khodr è l’emblema del vivere-insieme di Tripoli. Rimane ancora oggi non solo il figlio di questa città, ma anche la sua memoria di città del Mediterraneo e della sua lunga storia fatta di sconvolgimenti. Sede della federazione delle città cananee (fenicie), città ellenistica poi romana in cui soggiornò a lungo l’apostolo Pietro che evangelizzò l’intera costa della provincia romanda della fenicia Marittima, città omayyade poi abbaside prima di diventare fortino crociato e capitale della contea latina di tripoli, poi città mamelucca, ottomana e francese prima di assurgere a seconda capitale del Libano. Tutte queste eredità segnano in modo indicibile lo spirito dei suoi abitanti e conferiscono loro questa antica apertura mentale del cosmopolitismo mediterraneo.

Georges Khodr è senza dubbio uno dei rappresentanti più qualificati di questa mescolanza così armoniosa. È a Tripoli che l’Azione cattolica, che conosceva bene, costituì per lui un’autentica sfida, il che spiega in parte la creazione del Movimento della Gioventù ortodossa negli anni quaranta. È in un simile quadro cosmopolita che lo spirito di questo cristiano fu plasmato dall’ecumenismo e il dialogo interreligioso della metà del XX secolo. Ma è anche grazie all’eccellente cultura francese ricevuta dai religiosi lasalliani che ha potuto dialogare con i maggiori pensatori dell’occidente, senza contare la sua perfetta padronanza dell’arabo che fa di lui un’autorità di riferimento in questa lingua e negli studi coranici. È forse questo spirito di apertura a tutte le alterità, inculcatogli dalla sua città natale, che ha suscitato l’amore di mons. Georges per il Monastero di Bose, dove si sente perfettamente a casa. Ai suoi occhi questa comunità ha saputo, con l’intelligenza del cuore, dimostrare che la spiritualità cristiana non è nemica della modernità. A Bose l’ospite o il pellegrino si sente immediatamente a casa, in mezzo ai suoi, perché la ragion d’essere di Bose è questo Altro amato alla follia. In occasione di un Convegno annuale sull’ortodossia, mentre ci spostavamo dalla sala delle conferenze alle stanze da pranzo, mons. Georges mi disse: “Esistono eremiti che sono ‘folli in Cristo’; qui i nostri amici di Bose mi sembrano ‘folli nell’Altro’”.

Ed è ancora a Tripoli che, al tempo del mandato francese, che ha scoperto cosa significhi essere sotto dominio straniero. Racconta spesso di essere stato testimone dei carri armati francesi che schiacciavano dei manifestanti e di come questo evento fu decisivo nel risvegliare la sua coscienza politica. È stato e rimane un campione della dignità degli arabi, dignità spesso violata dall’occidente, il cui immaginario resta segnato dallo spirito delle Crociate. Per decenni, i suoi scritti invocano giustizia per il popolo palestinese, spogliato e oppresso. Evocando l’ideologia sionista, affermava con profonda amarezza: “Ogni vittima può diventare, un giorno, carnefice!”. È il motivo per cui, nonostante gli eccessi del radicalismo djihadista contemporaneo, non si è mai lasciato tentare dalla “protezione dei cristiani in Oriente”. Consapevole del prezzo elevato che le violenze attuali in Medioriente possono avere sui cristiani orientali, permane un avversario tenace di qualsiasi ricorso alla violenza contro la violenza. Non cessa di ripeterlo: “Gesù ci ha assicurato che sarà con noi fino alla fine dei tempi. Qui siamo a casa nostra e vi restiamo. Chiunque voglia ucciderci, lo faccia!”.

Una simile passività può sorprendere. Per capirla, bisogna ricordare che Georges Khodr non ha mai cessato di ripetere: “Il Dio degli eserciti è morto quando Gesù Cristo è stato crocifisso”. La sua passione per la persona di Cristo rasenta la follia amorosa. L’immagine della morte del Dio degli eserciti sulla croce è molto forte. È quella del poeta: Georges Khodr infatti fa teologia attraverso immagini poetiche. Tutta la sua opera brulica di immagini simili. Ne voglio ricordare solo due. Parlando dell’uomo carnale, ammirava la capacità umana di padroneggiare il mondo naturale e di partecipare a farne un “universo cosmico”, e questo grazie al fatto che l’essere umano “ha un corpo carnale che lo rende superiore agli angeli”. Un giorno, alcuni anni fa, condivise con me un’immagine ancora più forte. Trascorrevamo alcuni al giorni al monastero di Chevetogne in Belgio. Mentre camminavamo nel giardino gli chiesi la sua impressione su quella comunità cattolica latina, di rito bizantino per scelta. Mi disse laconicamente: “Mi sembra che rispettino l’Ortodossia e l’Oriente”. Poi, dopo un lungo silenzio, mi tratteggiò questa immagine folgorante: “Intravedo, attraverso un riflesso della Chiesa indivisa, l’immagine del Regno verso il quale mi incammino”.

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