Infanzia tradita, Umanità trasfigurata
Lettera agli amici - Qiqajon di Bose n. 78 - Trasfigurazione 2025
Cari amici e care amiche,
questa lettera vi raggiunge in prossimità della Trasfigurazione del Signore e, come ogni anno, vorrebbe essere l’occasione per condividere con voi un pezzo del nostro cammino comunitario. Il nostro piccolo cammino… all’interno di quello dell’umanità della quale ci sentiamo profondamente solidali.
È anche l’occasione per rendervi partecipi di alcuni pensieri su quanto più frequentemente ci troviamo a scambiare tra di noi: speranze, desideri, progetti, ma anche pene, fatiche e tragedie di questa nostra umanità.
Senza venire meno al ministero della speranza che ci è affidato in quanto esseri umani e in quanto credenti – anzi volendo esercitarlo con realismo e consapevolezza – abbiamo pensato di dare voce alla nostra pena, che crediamo anche vostra, per un tratto particolare delle immani e diversificate tragedie che vediamo consumarsi sotto i nostri occhi. Lo facciamo non per indulgere in letture pessimistiche, ma per un atto di responsabilità nei confronti di quel bene che tutti abbiamo il dovere di rispettare, proteggere e curare.
Lo facciamo anche spronati dalle parole di una cara amica della comunità recentemente tornata alla casa del Padre, Maria De Benedetti, sorella dell’amato Paolo. Era solita condividere con gli amici alcuni canti di lamento secondo l’uso ebraico della Qinah. Era il suo modo per esprimere, da figlia del popolo ebraico, la sofferenza per la tragedia di Gaza, che è una tragedia per i palestinesi ma anche per gli israeliani. In uno di questi lamenti, intitolato Qinah per i bambini di questo tempo, dice:
Siete un bene prezioso, che costa amore e lavoro.
Chi vuole impedirvi di far tornare speranza e fiducia?
Ma il Mondo che vi riceve non capisce che ha bisogno di voi.
E che a voi è affidata la rinnovata fatica del costruire.
Perché non riusciamo a rinascere con voi?
A noi, che abbiamo molto sofferto e molto distrutto,
il dovere di darvi la nostra fiducia.
E in un altro, intitolato Qinah per coloro che amano uccidere:
Non dite “Purtroppo lo devo fare”: perché
a tutti noi ci pensa già la Morte. Anche a voi.
Ma forse voi cercate uno scambio
con i bambini che ancora non hanno peccato?
Che ancora credono di poterci amare?
La vita a noi ha tolto l’innocenza
e l’ha resa paurosa di un futuro
che non sarà nostro né vostro. Ma solo
del patire di morti innocenti?
Ogni essere umano ucciso o umiliato è un mondo distrutto e dunque, in certo senso, un genocidio. Lo insegnano unanimi le tre fedi nel Dio unico i cui seguaci, tuttavia, in nome di quel medesimo Dio e pretendendosene difensori, non hanno esitato e non esitano a uccidere e umiliare. Ma quando le vittime sono bambini, il male diventa abissale e l’umanità che ne è responsabile si degrada a un livello indicibile.
Qui e ora, i mezzi di comunicazione ci informano di bambini usati come ostaggi, come soldati, di bambini affamati, di bambini lasciati morire in mare, di bambini abusati, di bambini uccisi dalle bombe… di bambini che, anziché essere accolti, protetti, aiutati a crescere, sono rifiutati, umiliati, usati e trucidati da una umanità che non si rende conto che in quel modo uccide sé stessa. Un’umanità dove follia e irresponsabilità, dove la crudeltà mista a leggerezza di tante politiche propagandate e perseguite, dicono la sua incapacità generativa, la sua sterilità e chiusura al proprio futuro. Che umanità è quella che non riesce a difendere gli indifesi per eccellenza? Che umanità è quella che non esita a usare la vita degli inermi? Che umanità è quella che ritiene il sacrificio di un bambino, anche di uno solo, un prezzo accettabile per raggiungere un obiettivo considerato ragionevole?
Le Scritture ebraico-cristiane sono piene di lamenti e di accuse per chi umilia i piccoli. Ricordiamo la parola di Geremia: “Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché non sono più” (Ger 35,19). Un passo che l’evangelista Matteo riprende quando narra dell’uccisione dei piccoli di Betlemme, per volere di Erode che così cerca di proteggere il proprio potere che sente minacciato dalla nascita di un altro “re dei Giudei” (Mt 2,16-18).
La sofferenza dei bambini, non a caso, è oggetto di quelli che possiamo considerare i due versetti più disperati, drammatici e scandalosi dell’intera Scrittura. Quello delle Lamentazioni: “Mani di donne, già inclini a pietà, hanno cotto i loro bambini, che sono diventati loro cibo nel disastro della figlia del mio popolo” (Lam 4,10). E l’impronunciabile conclusione del salmo 137: “Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà sulla roccia” (Sal 137,9). Due passi orribili, che la Scrittura contiene costringendoci a meditarli. Non perché con essi giustifichiamo i nostri crimini, ma per farcene misurare l’orrore! Per suscitare il nostro ribrezzo dinanzi a qualcosa di cui il cuore umano è tuttavia capace... Capace di fare o di desiderare. Così la Parola agisce da spada che penetra nei cuori e ne scova i pensieri (cf. Eb 4,12) più efferati. Perché a questo serve la Scrittura: indurci a vedere anche ciò che non vorremmo vedere, ma di cui siamo capaci, per spingerci a sentirne il peso e l’orrore.
E l’apice dell’orrore è avvertire estraneo e dunque nemico un bambino. Al punto da poterlo uccidere, trattandolo da nemico. La qualità dell’umanità la si riconosce invece dalla sua capacità di ritenere ogni bambino il proprio figlio, indipendentemente dal popolo cui appartiene. Un bambino non può mai essere un “nemico”, anche qualora appartenesse a un popolo ritenuto tale. Un bambino è un bambino! È un mio e nostro figlio! E l’umanità è recuperata, anche per un solo istante, quando siamo capaci di ritrovare noi stessi bambini in ogni piccola vittima di efferati orrori. È quanto hanno saputo fare anni fa due religiose in Colombia, affrontando disarmate il comandante guerrigliero che aveva rapito due loro alunni per farne bambini-soldato: a viso duro hanno ridestato in lui il bambino che anni prima era stato a sua volta loro scolaro e hanno così visto i due piccoli restituiti alla loro infanzia.
Umano è solo chi dinanzi agli occhi di un bambino avverte che quel piccolo è suo figlio, anche quando è stato messo al mondo da chi in quel momento egli ritiene suo nemico. È sapienza antica, che ritroviamo già in una pagina della Torah che narra l’altro celebre infanticidio, avente per mandante non Erode, ma un sovrano pagano: Faraone. Anche lui, per preservare il proprio potere, dinanzi a un popolo che cresce e che egli avverte come minaccioso, comanda a due levatrici di uccidere i neonati appena partoriti dalle donne ebree (cf. Es 1,15-21). Ma le due levatrici disobbediscono perché, dice il testo: “Temettero Dio” (Es 1,17). Due donne di cui, significativamente, il testo non chiarisce se fossero egiziane, come sembra più logico, o ebree. Essenziale qui l’indeterminatezza, perché dinanzi a quei bambini esse si comportano semplicemente come esseri umani, e agiscono in obbedienza a un Dio che si fa garante della loro umanità. Si oppongono a chi non esita a sacrificare i piccoli alla ragion di stato, per non venire meno alla propria dignità, ragione per cui di esse il testo ricorda i nomi: “Una si chiamava Sifra e l’altra Pua” (Es 1,15). Non si dice a quale popolo appartengono, ma se ne ricordano i nomi, perché in quel gesto più che la loro appartenenza etnica mostrano la loro umanità.
Questa umanità, la nostra umanità, è ciò che stiamo smarrendo in tanti luoghi di questo nostro mondo. Siamo tutti meno umani per ogni bambino che muore ucciso o affamato a Gaza, per ogni bambino israeliano rapito, per ogni bambino ucraino usato come merce di scambio, per ogni bambino soldato in Congo come in tanti altri paesi africani e latinoamericani, per ogni bambino che lasciamo morire in mare nei tanti viaggi della disperazione, per ogni bambino che nasce e cresce nelle carceri, per ogni bambino abusato…
Lasciarsi scuotere da questi orrori è l’ultima possibilità per salvare almeno un pezzo di questa nostra umanità, per salvare almeno un po’ di quell’Adamo di cui siamo tutti partecipi.
Provvidenziale, allora, è che Adam sia il nome di un bambino sfuggito alla strage dei suoi fratelli e sorelle a Gaza. Un superstite in mezzo a tante piccole vittime. Adam è il nome del primo uomo di cui parla la Scrittura, e in quella lingua significa semplicemente “umano”. Quel piccolo superstite è monito, appello, grido, perché questa nostra umanità salvi almeno un po’ di ciò che resta della propria dignità. Quella dignità che avevamo sentito scossa dal dolore per un’immagine che risale esattamente a dieci anni fa: il piccolo Alan Kurdi, riverso sulla spiaggia di Bodrum. Era la mattina del 3 settembre del 2015. Anche di lui torniamo a fare memoria!
I fratelli e le sorelle di Bose
Bose, 11 luglio 2025
Festa di san Benedetto, monaco