Non temere le sofferenze

Fratelli, sorelle,

il prologo della nostra Regola prosegue dicendo:

“Non temere la sofferenza della vita quotidiana e le persecuzioni. Rallegrati in esse contento di patire a causa di Cristo” (RBo 1).

Per tre volte nella nostra Regola risuona l’invito a non temere e sempre esso significa un atto di fiducia nell’evangelo e nella persona di Gesù Cristo. In particolare qui si chiede di non temere la sofferenza che la vita quotidiana porta con sé e di farne un’occasione di sequela di Cristo. Sì, ci sono sofferenze che ci vengono dalla vita stessa, dal quotidiano prodursi di eventi a volte inattesi, a volte indesiderati, dal quotidiano succedersi di impegni e di imprevisti, dall’accavallarsi di relazioni faticose o compromesse, dallo scontrarsi con comunicazioni difficili o mancanti che provocano tensioni, incomprensioni, fastidi, anche conflitti o litigi. Ma occorre ricordare che il più delle volte queste sofferenze, più o meno grandi, percepite in modo diverso da ciascuno, sono legate alla vita stessa, alla vita in quanto tale, non tanto alla vita monastica in modo specifico, e indicano piuttosto carenze e vulnerabilità, immaturità e limiti, fragilità e debolezze della persona stessa. E sono dunque occasioni di conoscenza di noi stessi e non necessariamente, non sempre, segno di cattiveria o inaffidabilità altrui o indizio che si deve abbandonare la vita monastica. Inoltre dovremmo riconoscere che a volte noi non sappiamo che cos’è una vera sofferenza. Spesso rischiamo di esagerare la portata di queste sofferenze non avendo la misura dei drammi reali, profondi e gravi che tanti vivono nella loro vita quotidiana a causa di lutti e malattie, separazioni e abbandoni, violenze e tragedie famigliari, povertà economica e precarietà o perdita di lavoro. E succede poi che queste sofferenze reali o presunte tali ci portino a giudicare i fratelli o le sorelle in maniera impietosa e non evangelica, o a mettere in discussione la nostra appartenenza alla comunità. Di fronte a queste sofferenze, come di fronte ad atti di aperta avversione e ostilità, è interpellata la nostra coscienza e, di fronte a tali ostilità e persecuzioni, ci viene suggerito di coglierle nella fede come occasioni di sequela di Cristo. Del Christus patiens. Allora sì, può esserci la beatitudine, il “contento di patire a causa di Cristo”. Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e nella sequela di Cristo anche nelle sofferenze. E tu, Signore, abbi pietà di noi.

fratel Luciano