L'inesauribile Parola
L'inesauribile Parola
di MARCO FRACON
La sacra Scrittura, e la Parola di Dio in essa contenuta, è da sempre fonte della vita spirituale delle Chiese e dei credenti. Alla centralità della Scrittura è stato dedicato il XIX Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, tenutosi presso il monastero di Bose dal 7 al 10 settembre, sul tema «La Parola di Dio nella vita spirituale». Quattro giorni di relazioni, con la partecipazione di un numeroso pubblico proveniente da molti paesi d’Europa (bere il caffè durante un break era come entrare in un bar a Babele dopo la divisione delle lingue), e di relatori rappresentanti delle Chiese ortodosse e della Chiesa cattolica. A progettare il convegno, un comitato scientifi co, presieduto da fr. Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, e di cui è membro fr. Sabino Chialà, monaco di Bose, che abbiamo intervistato.
Fr. Chialà, perché un convegno sulla «Parola di Dio nella vita spirituale»?
Come la Parola di Dio ha contribuito alla configurazione delle Chiese ortodosse dalle origini fino ad oggi, così il convegno vuole indagare l’uso concreto della Scrittura nell’esperienza, nella vita spirituale, nella vita della Chiesa e nella vita monastica.
Da dove nasce una domanda di questo tipo?
Uno degli slogan che ogni tanto si sente ripetere è che, a differenza di cattolici e protestanti, nella Chiese ortodosse non c’è una grande attenzione alla Parola di Dio e alla Scrittura. Il convegno vorrebbe riprendere quest’affermazione e cercare di giustificarla o di rigettarla. Cioè: è proprio vero che la Parola di Dio non è presente in queste Chiese? Non lo è mai stata? Non lo è oggi? E se questo è vero, perché? E se non è vero, dove questa presenza si può riscontrare?
E dove, allora?
In questi giorni abbiamo cominciato ad indagare la liturgia, perché evidentemente queste Chiese hanno un forte attaccamento alla liturgia. C’e stata una bella relazione di un vescovo della Chiesa ortodossa greca che ha mostrato come il primo luogo dove la Parola di Dio viene proposta come qualcosa che forma i cristiani è proprio la liturgia. La liturgia come enunciazione della Parola, ma anche nel suo insieme. La celebrazione degli atti liturgici, gli elementi che compongono la liturgia hanno tutti un riferimento alla storia della salvezza, dunque a ciò che è al centro dell’annuncio cristiano contenuto nella Scrittura. In secondo luogo abbiamo indagato i «padri», dunque la tradizione antica. Come i padri orientali, i santi della Chiesa russa e le tradizioni dei padri del deserto mostrano di aver attinto alla Scrittura, come l’hanno spiegata alla gente. San Giovanni Crisostomo, che è stato quello più profi cuo, insisteva sul fatto che tutti i laici possono aver accesso alla Parola di Dio. Ci sono delle pagine straordinarie in cui Giovanni dice che l’uomo qualsiasi, quando va a casa, deve confrontarsi con la Parola di Dio. E a chi obbiettava, un codice non era cosa comune, visto quanto costava, Giovanni rispondeva: «Se tu ti procuri gli arnesi per fare il tuo lavoro, devi anche procurarti gli arnesi per essere un cristiano». E l’arnese per essere cristiano è la Bibbia.
Poi si è passati all’attualità...
Sì, prima ci siamo chiesti come le Chiese ortodosse si confrontano con la Parola di Dio oggi, e poi come la Parola di Dio viene utilizzata oggi nei monasteri. E qui sono venute in luce dimensioni diverse: in quelle Chiese dove la Parola di Dio comincia a essere riscoperta, dopo un periodo buio in cui è stata messa da parte, c’è il problema del metodo storico-critico. Chi è pro, chi è contro. Anche all’interno dell’ortodossia ci sono delle voci diverse, ma cercano in qualche modo di confrontarsi e di arrivare a delle conclusioni e a delle sintesi per l’avvenire.
Da questo convegno, quali analogie e quali differenze emergono fra le Chiese d’Oriente e d’Occidente riguardo alla Scrittura?
Devo direi che in questi giorni mi sono reso conto che proprio sulla Parola di Dio, che è uno di quei temi su cui cattolici e ortodossi mostrano un cammino diverso, perché con il Vaticano II la Chiesa cattolica ha fatto dei passi in una certa direzione differenziandosi ancora di più dall’approccio della Chiesa ortodossa, determinati problemi e determinate tensioni riscontrate nella Chiesa ortodossa a proposito dell’approccio esegetico li abbiamo anche noi. Penso a un certo malessere, o ad una certa contrapposizione, sul come “mettere insieme” un approccio di tipo storico-critico e un’esegesi di tipo spirituale. È il problema della molteplicità degli approcci esegetici, che è un problema che neanche noi abbiamo risolto.
Neanche il documento della Pontificia commissione biblica
«L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa» del 1993, ha sciolto il nodo?
Il documento in quanto tale ha messo dei paletti molto seri. Il
problema è quanto tutto questo è stato recepito, cioè quanto centri concretamente nella vita della Chiesa.
Fin qui le analogie sui problemi. Ma riguardo alle differenze fra cattolici e ortodossi cosa ci può dire?
Potrei dire, ad esempio, l’uso della lingua viva del popolo nella liturgia. Su questo la Chiesa ortodossa si sta ancora confrontando. Ed è un confronto, lo vediamo in questi giorni, che è ancora abbastanza acceso fra i fautori di una traduzione dei testi liturgici e dei testi biblici nelle lingue parlate, e chi invece sostiene che si debba mantenere la lingua antica. Su questo la Chiesa cattolica, con il Vaticano II, ha fatto dei passi avanti. Oppure, un altro elemento è che queste Chiese hanno ancora il problema della predicazione della Parola di Dio, cioè che all’interno della liturgia la Parola non debba essere solo proclamata, ma debba essere predicata, cioè spiegata. Da noi la pratica dell’omelia è una pratica assodata.
Sintetizzando, che cosa impariamo?
Io direi che impariamo che la Parola di Dio è qualcosa di centrale ed inesauribile. Centrale nella vita della Chiesa, perché tutte le volte che ad Oriente come ad Occidente si è cercato di mettere la Parola di Dio da parte ci si è resi conto di aver perso qualcosa di fondamentale. Se si fa a meno della Parola di Dio, la vita della Chiesa si inaridisce. E, in secondo luogo, è inesauribile. Cioè la Parola di Dio non può essere esaurita da un unico approccio, e quindi abbiamo bisogno di una sinfonia di approcci.
Qui vede lo spazio per far coesistere esegesi moderna ed esegesi patristica?
I Padri, in fondo, erano degli uomini del loro tempo, che hanno impiegato nel leggere la Parola di Dio gli strumenti culturali del loro tempo. E noi abbiamo da fare la stessa cosa, avvalendoci della loro esperienza. In questo l’esegesi patristica è fondamentale. Però non dobbiamo tradirli nell’intenzione. Cioè non dobbiamo seguirli pedissequamente. Dobbiamo invece mettere a frutto la loro intelligenza: rileggere la Scrittura a partire dal loro tempo e, soprattutto, rileggere la Scrittura all’uomo del loro tempo. Sapendo che, comunque, nessuna esegesi potrà mai esaurire la Scrittura, cioè spiegarla esattamente.
In cosa consiste il discorso ecumenico che si sta facendo a Bose?
Innanzitutto conoscersi. Non si tratta tanto di decidere chissà quali tipi di unione per domani. Alla base di tutto, se unione ci sarà, e noi preghiamo e speriamo per questo, c’è la necessità di conoscersi. Spesso noi conosciamo l’altro solo a partire dalle nostre presupposizioni, dalle riduzioni che noi ne facciamo. Incontrare l’altro nella sua materialità, ascoltarlo per quello che ha da dire, per come si presenta. Per questo noi abbiamo organizzato convegni in cui gli ortodossi potessero
esprimere le loro tradizioni. Che si presentino, che dicano chi sono. Cerchiamo di conoscere queste tradizioni. Quando uno conosce l’altro concretamente, tanti stereotipi e tante diffi coltà cadono. Rimangono alcune differenze, ma sono differenze comunicabili e che possono entrare in comunicazione.
A Bose c’è stata un’attenzione particolare al monachesimo. Cosa possiamo dire agli altri, a quelli che monaci non sono?
Viviamo in un mondo in cui il contatto tra cattolici ed ortodossi è sempre più quotidiano. Quando si pensa che a Torino la seconda Chiesa in ordine di importanza è quella ortodossa rumena, anche un convegno come questo di Bose in cui si chiede chi è davvero l’altro può aiutare la convivenza.
Noi vediamo nell’altro sempre solo un problema. E se cominciassimo a vedere nell’altro anche una chance, un’occasione di riumanizzazione e di rinvigorimento della nostra fede?
Quindi anche il ricentrarsi tutti sulla Parola di Dio?
Evidentemente. Le parole di Giovanni Crisostomo “i buoni cristiani partono sempre dalla lettura della Bibbia" sono straordinarie, e dal IV secolo ci giungono ancora oggi come un monito di una attualità sconcertante.
MARCO FRACON