Geremia, servo della Parola

Il libro di Geremia, il più lungo di tutta la Bibbia, è una collezione di testi che riguardano gli eventi dopo la caduta di Gerusalemme, nel 587 a.C., ed è una testimonianza di come Israele sia sopravvissuto a un evento politico catastrofico. L’intenso lavoro di riflessione sulla propria sconfitta e le cause che l’hanno generata ha portato al superamento di idee e atteggiamenti illusori e dannosi.

Il racconto della vocazione di Geremia (cf. Ger 1,4-19) richiama quello della vocazione di Mosè (cf. Es 3). Alla chiamata profetica, Geremia risponde obiettando la propria incapacità a essere persuasivo con la parola, a causa della sua giovane età: “Ecco io non so parlare, perché sono giovane” (Ger 1,16). Il Signore replica confermando la chiamata con una promessa di assistenza che non verrà meno di fronte alle opposizioni e al rifiuto che Geremia dovrà subire. La missione del giovane prevede parole di giudizio, ma anche un annuncio di speranza: “Oggi ti dò autorità […] per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare” (Ger 1,10). Geremia è quindi chiamato al servizio della Parola. Tra Dio e il profeta c’è un dialogo profondo e schietto: Geremia avanza le proprie perplessità e obiezioni, il Signore di rimando gli chiede di superare ogni timore, nella fiducia che Dio veglia sul compimento della sua Parola.

“Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane”: è l'obiezione di Geremia su cui soffermiamo l’attenzione. L’espressione “sono giovane” si comprende meglio se accostata a quelle simili di Mosè e di Salomone (cf. Es 4,10 e 1Re 3,7): in entrambi i casi “giovane” è sinonimo di “inesperto” o comunque considerato tale. Alla richiesta di Dio, Geremia oppone quello che riconosce come un proprio limite: “Non so parlare”. Geremia dice ciò che lui vede di se stesso: un giovane inesperto, impacciato nel parlare di fronte ad altri, più grandi e più capaci di lui in fatto di guida di popoli e di esperienza di vita. Geremia avverte la propria piccolezza e inadeguatezza. Coglie, in fondo, una parte di verità.

Di contro il Signore gli promette “autorità […] per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare” (Ger 1,10). A Geremia viene offerta la possibilità di superare quello che lui avverte come una mancanza: “Non so parlare”. Parlerà invece, e parlerà davanti a popoli che prima neanche conosceva, parlerà a persone più grandi di lui, per età, ruolo e prestigio. Entrerà in un dialogo assiduo con il Signore, e in questo dialogo lui stesso crescerà; da questa intimità prolungata nel tempo imparerà a esprimersi, acquisirà lucidità nel discernere le situazioni e autorità nel parlare con pertinenza di ciò che gli sta di fronte. Diventerà capace di abitare la solitudine in cui la chiamata di Dio lo pone, e insieme saprà soffrire con il suo popolo, con le persone che da Dio gli sono affidate. Imparerà la compassione: vivrà sulla propria carne la stanchezza e la fatica di chi, accanto a lui, è smarrito. Sperimenterà sulla propria pelle il male e l’angoscia di chi patisce ingiustizia. Reso sensibile all’azione e alla presenza di Dio in un mondo pieno di conflitti, di inganno e di dolore, troverà consolazione e la capacità di donarla agli altri.