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Tu condividi l’amore e basta

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Olio su pannello, cm 110 x 120
WILLIAM CONGDON, Le tentazioni di Gesù, 1963

Mercoledì delle ceneri
Bose, 21 febbraio 2007

Matteo 6,1-6.16-18 

Abbiamo ascoltato dal discorso della montagna, discorso fatto al popolo della nuova Alleanza da parte di Gesù alcune parole riguardanti la preghiera, il digiuno e la condivisione. E’ significativo che Gesù conferma la necessità della preghiera, la prassi del digiuno praticata all’interno del giudaismo e la bontà della condivisione dei beni con i poveri.

Gesù non abolisce queste azioni che sono chiamate da lui giustizia, erano predicate all’interno del giudaismo, della sua comunità e le conferma con la loro grande importanza anche nella vita del discepolo, del cristiano. Ma, se noi facciamo attenzione, quello che più emerge come preoccupazione di Gesù è il perché e il come si pratica questa giustizia.

Gesù chiede di pregare, ma chiede anche che ci interroghiamo su come e perché preghiamo; chiede che noi pratichiamo il digiuno ma chiede di andare alla radice del nostro digiuno e di interrogarci sulla forma con cui lo pratichiamo. Perché la motivazione, che diviene lo stile di un’azione, all’interno dell’economia cristiana conta quanto l’azione. Gesù dunque dice di non praticare la giustizia (questo è il termine esatto che viene tradotto dalla bibbia italica “buone opere”): non praticate la vostra giustizia, dice Gesù per essere visti dagli uomini, non praticatela davanti a loro, altrimenti avete già ricevuto un salario e non lo riceverete dal Padre vostro che è nei cieli. Gesù sa che si può praticare la giustizia per ottenere consenso, per essere ammirati, per risultare dei maestri e delle guide spirituali e morali, insomma, per averne un guadagno nella nostra vita nel mondo e in mezzo agli uomini.

Questa è una tentazione sottile, una tentazione molto presente negli uomini religiosi perché si può effettivamente giustificare con il buon esempio, col dare testimonianza. Ecco perché Gesù ci richiama di interrogarci sulla fonte delle nostre azione, ci chiede di guardare soprattutto nel nostro cuore là dove anima e spirito, giuntura e midolla, sentimenti e pensieri del cuore sono generati, là dove può penetrare la Parola di Dio come spada tagliente, spada a doppio taglio.

E’ importante che noi dunque ci interroghiamo sulla motivazione: perché prego? Perché digiuno? Perché faccio elemosina? Solo se noi ci interroghiamo alla radice dei nostri atteggiamenti noi possiamo poi anche dare valore all’azione che compiamo. E non solo dunque al perché, alla radice, ma anche allo stile con cui noi eseguiamo la giustizia.

Sappiamo pregare di più, di più, nel segreto della cella rispetto al pregare in mezzo agli altri e davanti agli altri?

Preghiamo perché Dio ci vede e restiamo davanti a Lui, o perché siamo davanti agli uomini?

Sono domande che la quaresima ci chiede di accogliere, ben sapendo che l’ipocrisia è una forma di menzogna in cui si vuole coinvolgere ai nostri fini, per i nostri salari, le nostre ricompense quaggiù.

La condanna dell’ipocrisia è il rimprovero più frequente nell’insegnamento di Gesù, perché Gesù sa che è una patologia dello spirito. E’ un vortice quello dell’ipocrisia, si inizia normalmente con il metterci una maschera, si passa alla finzione, si arriva quindi alla furbizia che annulla la Parola di Dio con le nostre tradizioni umane. Gesù smaschera tutto questo all’interno dei vangeli. Si finisce per fare davanti agli altri, con la scusa della gloria di Dio, un’azione che ci dà come salario consenso, applausi.

Ma Gesù ci avverte: l’ipocrisia alla fin fine è molto molto ridicola perché è il Padre che vede nel segreto, e Gesù sembra dirci: ma a che scopo tanta scena? A che scopo tanto rumore, tanto suono di tromba se intanto ciò che conta della preghiera, del digiuno e del condividere con gli altri è soltanto ciò che il Padre vede nel segreto e ciò che noi facciamo davanti a Lui e non davanti agli uomini?

Si potrebbe dire di più, almeno qui Gesù ce lo insinua, per la condivisione: quando condividi non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra. Non solo non condividere perché gli altri ti vedono, ma quando condividi neanche tu misura l’azione. Tu condividi l’amore e basta, non chiederti il destinatario con cui condividi, non chiederti il risultato e l’efficacia, solo così la condivisione è un atto di amore pieno.

Con ragione san Paolo dirà che possiamo dare tutti i nostri beni ai poveri, ma non avere neanche un frammento dell’agape di Cristo in noi. Per averlo le nostre azioni non solo non devono essere fatte sulla scena davanti agli altri, ma neanche davanti a noi, perché in quel caso la nostra carità diventa un calcolo, diventa preoccupata, è una carità distratta: Quando diamo, diamo e basta, un’azione di amore basta all’amore, la carità basta a se stessa, non siamo noi a calcolarla e tanto meno gli altri, tutto il resto è ipocrisia.

 Enzo Bianchi