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Un amore inquieto

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Photo by Stefano Ghezzi on Unsplash
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Un tappeto nero copriva il suolo nella tenda della Regina; e nel nero un ricamo d’oro disegnava il sole e la beccaccia, il sole e la beccaccia. Sul tappeto, abbandonata sui cuscini di seta, sedeva la Regina, la Regina di Saba, sdegnosa e preoccupata. Un filo di perle pendeva fiaccamente dalla mano pallida appoggiata al ginocchio, giù lungo l’orlo della tunica; e sul tappeto nero-dorato le perle preziose e le dita pallide dei piedi nudi rivaleggiavano in nobiltà e delicatezza.
Attorno alla Regina si aggirava silenziosa, in punta di piedi, la vecchia balia, anch’essa riccamente vestita come una regina veneranda. Cercava di consolare la sua signora che un tempo aveva allattato e ora serviva.
– Non ti turbare, mia Regina, perché le tue perle sono pallide. Chi ti può resistere? Splendi come il sole stesso, oh mio sole, e Salomone, il divoratore di femmine, cadrà ai tuoi piedi e bacerà l’orlo della tua veste. –
Così parlava la balia; e la Regina rispose tristemente:
– No, balia mia. Guarda le perle: vedi anche tu come sono pallide, come sono morte. Come potrei osare presentarmi al suo palazzo di vetro con queste perle morte sul mio seno? Il suo sguardo mi trafiggerà, e brucerò di vergogna. –
E la vecchia balia tacque, cupa d’ira.
– Bambina mia! Come parli! Come se tu fossi non la Regina, ma una schiava di Salomone, una coppiera per il suo vino, una danzatrice per il suo piacere, costretta a prevenire ed esaudire ogni suo desiderio regale. Il mio vecchio sangue mi monta al viso. Che incantesimo ti ha fatto, il Re di Gerusalemme, che parli di lui con tanto timore? –
La pallida Regina sorrise un sorriso smunto e malato. I grandi occhi a mandorla si spalancarono, si arrotondarono, e si accesero tra le ombre della tenda.
– Che incantesimo, dici? Oh, il beffardo, così sapiente e tenero! La barba nera e ricciuta come braccia di un abisso, gli orecchini d’oro simili a lune nuove, le labbra di porpora la più delicata e il bianco dell’occhio colore della porcellana! Il saggio che si bagna nel vino e nel piacere, che all’ombra dell’argento e della sapienza, tra spezie e aromi, scrive con una penna d’oro sulla pergamena che la vita è follia e vanità. Sì, mi ha incantato. Ha fatto prigione il mio cuore. Senza la minima difficoltà, senza neppure aggrottare un attimo la fronte per lo sforzo ha risposto a tutti i miei enigmi! I difficili enigmi che ho portato dal mio paese lontano, l’annosa fatica dei miei sapienti, li ha resi uno scherzo col suo sorriso beffardo. Come un bimbo che rompe un oggetto prezioso di cui ignora il valore, così ha spezzato il mio cuore scherzando, e scherzando ha ferito il mio orgoglio … –
La Regina si interruppe all’improvviso quando al di là dell’apertura della tenda si sentì la canzone di un ubriaco, cantata da una vecchia voce rauca:

Il vino di Salomone è buono,
Il vino di Salomone è prezioso!
Danza il mio vecchio sangue
Dentro mi brucia il suo fuoco.

– Ssst! Eccolo che arriva, l’ubriacone! –
Con un gesto d’impazienza la balia sollevò la cortina, e il volto toccato dalla luce del tramonto le si fece di rame. Nel profondo della tenda la Regina sedeva in silenzio, pallida e attenta, come ombra nel sogno. La balia si scostò, e tintinnante di bracciali il vecchio Abner cacciò il capo dentro la tenda. La barba bianca splendeva come argento infocato, e la mano scura, balenando con lo scintillio degli anelli, coprì la bocca per contenere l’odore del vino.
– La mia Regina mi ha mandato a chiamare alla corte del Re? –
– Vecchio ubriacone! Che facevi alla corte del Re, tra quei giovani beoni? –
Abner si addentrò ancor più nella tenda, e chinò ancor più il capo canuto.
– Placa la tua ira, mia Regina. Tra i bevitori ci sono anche dei vecchi, e uno di loro è stato reso sobrio dalla tua ira. –
– Accòstati. –
Abner entrò nella tenda, e le sue larghe spalle e il tintinnio dei bracciali la fecero diventare più piccola. Si inginocchiò e la Regina gli tese le perle.
– Guarda! –
L’uomo sollevò le perle più vicino agli occhi, maneggiandole con dita maestre, perla dopo perla. Sospirò.
– Che peccato. Le perle sono malate. –
– E come si guariscono? –
– Dovrebbero tornare in grembo alla madre. –
Nell’ombra della tenda gli occhi della Regina dardeggiarono. Nella sua voce risuonò aspra l’ira.
– Vecchio Abner, i tuoi indovinelli hanno già fatto una brutta fine. Lasciali perdere. –
– Le perle andrebbero gettate in mare. –
– Sei ubriaco! –
– Sono sobrio. –
– Parla! –
– Andrebbero gettate in mare per giacervi fino a che la luna abbia compiuto tre volte il suo percorso. Poi si ripeschino. Il mare le avrà guarite. –
La Regina poggiò il capo sulla mano riflettendo. Infine sospirò:
L’attesa è troppo lunga. –

 

A. Kacyzne, Le perle malate, Edizioni Qiqajon, Magnano 1995


Per approfondire:

Il più bel canto d’amore. Letture e riscritture del Cantico dei cantici, Edizioni Qiqajon, Magnano 2013

Tags: cura delle parole, qiqajon