Lasciarsi stupire dal male
18 aprile 2025
Dal Vangelo secondo Luca - Lc 23,48-56a
In quel tempo 48la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. 49Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo. 50Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. 51Egli non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. 52Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. 54Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. 55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, 56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.
Quella del vangelo che commentiamo oggi è una pagina suggestiva che ha significativamente ispirato molto più gli artisti che i commentatori. Si potrebbero citare molte opere, ma come non ricordare la pietà di Michelangelo, oppure, per esempio, tra gli affreschi orientali, quello di Panselinos sul monte Athos…
Se le iconografie occidentali tendono a esprimere normalmente il dolore, soprattutto il dolore della madre di Gesù, in quelle orientali troviamo delle note che esprimono generalmente lo stupore. L’innografia che dà voce a quegli affreschi infatti è tutta una contrapposizione retorica che tende a suscitare stupore: “Colui che appese i cieli, è appeso alla croce…” oppure “Come può morire, l’autore della vita?”.
Allora per una volta, in questo venerdì santo, lasciamoci ispirare dallo stupore, un sentimento che anche nei vangeli suscita domande, riflessioni. Come quelle della folla descritta da Luca, che dopo aver visto quello spettacolo “ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto” (v. 48).
Il racconto di Luca pur essendo simile ad altri vangeli nel suo contenuto inserisce dei tratti che possono aiutare il lettore nella comprensione della morte di Gesù e la sua sepoltura. Anzitutto il vocabolo theoría, che vuol dire visione, spettacolo, ma anche contemplazione. Una visione cioè che induce a ripensare, riflettere (theoréo è la stessa radice!).
C’è poi il “battersi il petto”, gesto che esprime pentimento per la propria colpa. Un gesto già visto in Luca nel celebre passo del pubblicano e del fariseo al tempio (cf. 18,13). Di fronte al male, a ogni genere di male, la via più facile è schierarsi, prendere posizione, nella certezza poi di aver scelto la parte giusta. Ed è quello che avrebbe potuto fare la folla, pro o contro Gesù.
Molto più raro invece è stupirsi del male, riconoscendo anche la propria piccola o grande responsabilità in ciò che accade… Il battersi il petto è la via difficile, la via dolorosa, ma che ci rende più liberi dagli stereotipi, e più vicini al mistero della passione di Gesù che rimane non spiegato se non da quel gesto fino alla risurrezione. È probabilmente il sentimento che guida anche l’agire di Giuseppe di Arimatea, membro del sinedrio, che depone in un sepolcro nuovo, Colui della cui morte, nonostante tutto, si sente responsabile; facendo in modo che, se non nella morte, almeno nella sepoltura apparisse la giustizia di Gesù, il suo essere stato profeta inascoltato, fedele servo del Signore.
Infine un ultimo tratto di questo venerdì santo, il riposo delle donne dopo aver preparato gli aromi (v. 56). La parola greca, molto cara ai monaci è hesychía, vuol dire quiete, riposo, anche silenzio. Lo stupore genera silenzio e il silenzio di oggi è necessario alla preparazione del grido di Pasqua: Cristo è risorto! È veramente risorto! Cioè essere pronti alla risposta che Dio ha fornito al grido pieno di stupore del Cristo morente: “Mio Dio, mio Dio a che scopo mi hai abbandonato?”.
fratel Raffaele