La preghiera di Gesù e la paura dei discepoli

Giovanni Frangi
Giovanni Frangi

5 agosto 2025

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 14,22-26 (Lezionario di Bose)

In quel tempo Gesù 22costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».34Compiuta la traversata, approdarono a Gennèsaret. 35E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati 36e lo pregavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccarono furono guariti.


Dopo la notizia della morte per decapitazione del cugino e amico Giovanni il Battista, Gesù sente il bisogno di ritirarsi in un luogo deserto (cf. Mt 14,16). Il dolore è lancinante e Gesù ha bisogno di farsi amico il silenzio per non lasciarsi travolgere da quell’evento tragico. Gesù tace. È la prima reazione di fronte alla violenza che si è scaraventa con tutta la sua irruenza su Giovanni. Gesù addomestica la sua lingua, ma non si rinchiude nel suo dolore. Una folla affamata di senso e di fame rompe la sua “anacoresi” e Gesù si lascia smuovere nell’intimo dalla compassione. Gesù cura e divide il pane, e subito, di nuovo, dopo aver costretto i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva del lago, congedata la folla, sale sul monte, ancora una volta in disparte, a pregare.

La vita di Gesù si snoda così, tra il silenzio della preghiera e l’esercizio della compassione. Dalla preghiera si parte e alla preghiera si ritorna. La compassione si situa nel frammezzo. La preghiera è intimità con il Padre che non dimentica il grido del povero e dell’oppresso. La preghiera autentica dischiude il nostro cuore alla misericordia, squarcia le nostre viscere fino a far sentire dentro di noi le sofferenze e le pene dell’altro. La preghiera diventa uno sporcarsi le mani, un abitare creativamente il mondo, un sentire i gemiti della creazione, creazione che chiede di essere liberata. Diceva Karl Barth, il grande teologo svizzero: “Congiungere le mani per pregare significa iniziare a lottare contro il disordine del mondo”, contro la forza dei poteri, contro le ingiustizie.

Gesù prega e poi ritorna nei luoghi delle bufere dei suoi amici, sulle acque scosse dalla tempesta, in balia dei venti contrari, e lì, “alla quarta veglia della notte”, quando ormai tutto sembra perduto, si incammina sulle acque verso di loro in preda al panico. I discepoli però non vedono Gesù ma un fantasma. La paura acceca i nostri occhi, distorce il nostro sguardo, deforma la realtà, ingigantisce la percezione di essere minacciati, accresce i problemi. “È un fantasma!”, gridano. Gesù annuncia subito la sua presenza rappacificante e li incoraggia a non aver paura. Ma l’atto dell’esserci, del porsi accanto, e la parola amica non sono sufficienti per Pietro che sfida Gesù, nell’atto dell’imitazione sciocca del suo maestro. Per affrontare la paura spesso somministriamo dosi massicce di coraggio fai da te. E sprofondiamo sempre più giù. In realtà la medicina più efficace è la consapevolezza della nostra debolezza. E questo è il miracolo più grande che ci possa capitare nella vita. Solo allora potremo gridare quelle parole dal sapore salmico: “Signore, salvami!”. Io non posso salvarmi da solo. La mano di Gesù è sempre tesa per chi ha la lucidità di accogliere le proprie fragilità. Saliti sulla barca – Gesù e l’“uomo di poca fede” – il vento cessa, la comunione con la natura è ristabilita, e tutti riconoscono in Gesù il figlio di Dio.

Gesù davvero incarna il volto compassionevole del Padre e ci invita a liberarci dai nostri fantasmi quotidiani. Siamo chiamati anche noi oggi a convertire il nostro sguardo nel cuore delle nostre tempeste, ad affrontare la paura non con il coraggio dei supereroi ma con l’umile fiducia in Gesù, che cammina con noi e ci tende la mano per soccorrerci.

fratel Giandomenico