Spezzare la corazza dell’io
25 agosto 2025
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 19,16-22 (Lezionario di Bose)
In quel tempo16un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». 17Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, 19onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». 20Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». 21Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». 22Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze.
“Se vuoi essere perfetto…”. Gesù nella pagina evangelica odierna mette alla prova la nostra egolatria provocandoci con l’idea della perfezione. Che cos’è la perfezione? Anzitutto la traduzione va specificata: nella radice greca c’è l’idea di compimento, di completezza. Nel contesto biblico appare poi evidente che la perfezione, come la intendiamo noi, non è cosa per gli umani, come ci dice il v. 17 anche per la bontà. Come uno solo è buono - Dio -, uno solo è perfetto.
Il giovane è volenteroso, vuole ottenere, conquistare, la vita eterna: il problema è che vuole fare tutto da solo, sulla base dei suoi sforzi. Vuole ottenere la vita eterna nello stesso modo in cui si rapporta con le sue “molte ricchezze”, sentendole come cosa propria, in modo assoluto, anche se le ricchezze sono il più delle volte opera di famiglia, frutto di generazioni, opera di altri... Per lui no: è tutto suo.
Il giovane ha una visione di sé e del mondo che lo pone al centro di tutto, come unico autore e attore della sua vita. E in questo l’evangelo ci interroga: non siamo anche noi spesse volte accoccolati sul nostro io, pronti a difendere lui e le nostre cose con inaudita violenza?
Gesù allora pedagogicamente prima gli insinua il dubbio che Dio è qualcosa di più di sé e della sua ricerca, che lui è l’unico buono. Poi lo riporta alla Scrittura, via irrinunciabile per oggettivare la nostra ricerca, e in particolare lo riporta alle esigenze della Scrittura: i precetti. Ma il giovane mostra una certa impazienza e chiede quali siano i precetti. Non perché non li conosca, ma perché la sua è una logica ottimizzante. Vuole sapere come ottenere il miglior risultato con il minimo sforzo. Quindi domanda tra tutti i comandamenti, quali siano i più adatti allo scopo…
Gesù allora gli elenca una serie di precetti. Significativamente sono tutti precetti che hanno a che fare con il prossimo o con il padre e la madre. In questo modo Gesù cerca in modo delicato ma inesorabile di portare il giovane a spostare il centro della sua vita fuori da sé, in modo da comprendersi, per esempio, come frutto dei suoi genitori e più in generale come essere irrimediabilmente legato agli altri. Gesù infatti conclude l’elenco con quell’amerai il prossimo tuo come te stesso che in una domanda simile a quella del giovane, Gesù aveva definito come comandamento simile all’amore di Dio (Mt 22,35-46).
Ma il giovane insiste e non si sente ancora a posto. Ed è allora che Gesù avendolo conosciuto e discernendo il suo bene, gli propone un compimento, un modo per completare la sua vita aggiungendo quello che fino ad allora non era considerato: gli altri. «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» (v.21). Gesù gli chiede di sbocciare a vita nuova sbarazzandosi del mallo delle ricchezze che soffoca la sua sete di eternità.
Il vangelo però ci narra anche il fallimento di Gesù. La sua parola, la sua chiamata, questa volta rimangono inefficaci e questo diventa un monito per noi lettori. Per dirci che il tarlo delle ricchezze, che porta all’egolatria, all’autocentramento su se stessi, è molto difficile da scardinare, e per questo condizione essenziale per la vita evangelica è invece rinnegare se stessi, in modo da riuscire a cogliersi come parte di un tutto fatto di Dio e degli altri, questa è la completezza, questa è la perfezione.
fratel Raffaele