Il male ha un limite
15 novembre 2025
Dal Vangelo secondo Luca - Lc 18,1-8 (Lezionario di Bose)
In quel tempo, Gesù 1diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: «Fammi giustizia contro il mio avversario». 4Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: «Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi»». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Siamo all’inizio del capitolo 18 di Luca, di fronte a un testo che si trova solo in questo vangelo. I versetti che precedono parlano della venuta del Figlio dell’uomo nel suo giorno: venuta imprevedibile e improvvisa, che avverrà in un tempo di tribolazione e incertezza, tempo in cui fra due persone che si troveranno nella stessa situazione “l’una verrà portata via e l’altra lasciata” (Lc 17,34-35), tempo in cui bisognerà perdere la propria vita per mantenerla viva (cf. Lc 17,33).
Luca, riportando le parole di Gesù ai discepoli, si rivolge a una comunità cristiana che conosce la persecuzione e l’angoscia, e indica degli strumenti per affrontare il buio della storia. “Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai” (v. 1), e aggiungeva: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (v. 8). Ci viene detto che la parabola concerne la preghiera, ma poi il discorso si sposta sulla perseveranza e sulla fede. Inoltre, ripetutamente ricorre il lessico legato alla giustizia (“rendere/fare giustizia”: vv. 3.5.7.8, e v. 6: letteralmente, “il giudice dell’ingiustizia”) e al tempo: “sempre”, “per un po’”, “giorno e notte”, “in breve tempo/prontamente” (18,1.4.7.8). C’è un legame tra giustizia e tempo: il male e l’ingiustizia non dureranno per sempre. “Per un po’ di tempo il giudice di iniquità non volle”, ma solo per un tempo limitato. La fede ci rassicura che il male non ha la parola definitiva.
In Luca la fede è vista soprattutto come accettazione di un messaggio, presentato da un messaggero affidabile, il cui contenuto implica una risposta e richiede un agire. Schematizzando, si può dire che o c’è accettazione o non c’è accettazione del messaggio. In Luca non troviamo l’ affermazione: “Credo; aiuta la mia incredulità” (Mc 9,24), né la denuncia: “per la vostra poca fede (Mt 17,20), secondo quanto riportano Marco e Matteo nelle versioni parallele dello stesso episodio (cf. Lc 9,38-42). Luca non si sofferma sulle dinamiche interne della fede. Queste considerazioni possono aiutarci a capire la domanda finale del nostro testo: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (v. 8). Questo interrogativo ci appare molto brusco; forse potremmo riformularlo così: il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà delle persone che sanno che il male non ha l’ultima parola?
Quello che appare eterno nel nostro testo è l’invocazione continua, che non viene meno, e che giorno e notte fa appello alla giustizia di Dio. Gesù dice questa parabola “sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai” (v. 1). Vi è dunque una necessità di pregare. Ma che cos’è la preghiera? È solo grido per tutte le disgrazie che ci affliggono? Il pensatore ebreo Abraham Y. Heschel parla della preghiera come casa dell’anima, al contempo riparo dalla miseria e dalla malvagità e insieme dimora in cui cercare di restare umani: persone, cioè, capaci di affrontare le sfide, resistere alle tentazioni del male, persone consapevoli di avere una chiamata. Vivere è scegliere una strada, una direzione, degli obiettivi. La preghiera è una prospettiva da cui osservare e rispondere alle sfide che affrontiamo.
La necessità di pregare sempre mi sembra richiamare quella di non desistere mai dall’esercitare la propria libertà e responsabilità. Pregare ci aiuta a capire chi siamo e come le nostre personali vicende si intrecciano con le sofferenze, le necessità e i desideri di fratelli e sorelle. Pregare ci aiuta a comprendere la parola di grazia ricevuta con l’annuncio evangelico: Cristo ha vinto la morte. Sì, il male ha un limite.
sorella Raffaela