L'esempio della vedova
24 novembre 2025
Dal Vangelo secondo Luca - Lc 21,1-4 (Lezionario di Bose)
In quel tempo, Gesù, 1alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. 2Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, 3e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. 4Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».
Nel Vangelo, che è il racconto della vita di Gesù e dei suoi primi compagni, appaiono anche alcune figure minori. Una di queste è la povera vedova che Gesù osserva deporre il suo obolo nel tesoro del tempio. Questo episodio è davvero minore, tant’è vero che Matteo, riscrivendo Marco, lo omette, non si sente neppure tenuto a ricordarlo. Ma Luca gli riserva una particolare attenzione, perché per lui ha una grande importanza proprio l’esempio della vedova.
Infatti, non è la sola volta che questa figura compare, nel terzo Vangelo; anzi, fin dall’inizio, nel Vangelo di Luca, compare una vedova chiamata per nome, con un nome proprio: “C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Asher; era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, poi era rimasta vedova” (Lc 2,36-37).
Quando noi pensiamo ad una figura femminile esemplare, pensiamo anzitutto a una giovane vergine, come Maria di Nazareth. Ma san Luca vuole proporci come esemplare anche una vedova, cioè una donna che ha vissuto per un certo tempo con il marito, ma poi “è rimasta sola” (memonomène), come san Paolo definisce “colei che è veramente vedova” (1Tm 5,4).
Questa donna ha vissuto abbastanza con un uomo da interiorizzarne la presenza maschile, ed è “veramente vedova”, ossia una donna forte, quasi una monaca, e quindi capace di “consacrarsi all’orazione e alla preghiera giorno e notte” (vedi, ancora, 1Tm 5,4). Infatti, per Luca, il modello di una preghiera insistente è proprio quello che ci viene offerto da una vedova. In una città viveva un giudice e c’era anche una vedova, che esigeva da lui giustizia (cf. Lc 18,2-3). Ricordiamo il ragionamento di questo giudice, che fa un po’ il contraltare di Dio: “Dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi” (Lc 18,5). La perseveranza di questa vedova è tale da risultare perfino inopportuna, e la morale è proprio questa: “E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano a lui giorno e notte?” (Lc 18,7).
La prima qualità di una donna veramente vedova è dunque la preghiera perseverante, incessante, “senza stancarsi mai”. E non è affatto scontato che si trovi ancora sulla terra una fede così grande come quella di una vedova. È la fede di chi ha forse perduto il suo amore umano, ma lo ha conservato e sublimato in un amore ancora più grande.
E poi, ci insegna il Vangelo, c’è un altro motivo per cui la vedova è anche per noi una figura esemplare: ed è la sua generosità. Una vedova è quasi sempre povera, è una persona socialmente sprovveduta, senza l’aiuto del marito. Ma non ha neppure il pensiero di provvedere a un altro, oltre che a sé stessa: è padrona di sé, di quello che possiede, ed è capace di offrirlo nella maniera più disinteressata.
Questa povera vedova, “nella sua miseria, ha gettato [nel tesoro del tempio, quindi ha offerto a Dio] tutto quello che aveva per vivere”. Ossia, letteralmente, “tutta la sua vita”. Che cos’è “tutta la nostra vita” se non qualcosa che, possedendolo, perdiamo e, donandolo, guadagniamo (cf. Lc 9,24; 17,33)?
fratel Alberto