Una vita “esagerata” per conservarla a tutti i costi

Foto di Sam Farallon su Unsplash
Foto di Sam Farallon su Unsplash

1 dicembre 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 12,23-26 (Lezionario di Bose)

In quel tempo, 23Gesù disse: «È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. 24In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà».


Memoria di Charles de Foucauld, per nascita e per buona parte della sua vita uno dei ricchi per i quali “è così difficile entrare nel Regno dei cieli”. Passato di eccesso in eccesso nel male e nel bene, nella dissipazione e nella conversione, trovata la vocazione cui rispondere con libertà e perseveranza, pur tentando, non ebbe compagni in vita, ebbe molti discepoli dopo la sua morte apparentemente casuale ed inutile.
Aveva scelto il nascondimento, la piccolezza, ma non la solitudine e l’isolamento e la realizzazione della sua vocazione è stata, come spesso succede, un’inattesa e sorprendente storicizzazione della parabola del chicco di grano: senza di lui e attraverso di lui è diventata vocazione di molti.
Più volte caduto a terra come Gesù al Getsemani (cf. Mc 14,35), Charles ha percorso la via del discepolo: morire ai propri progetti e modalità, scegliendo ed acconsentendo non alla morte, ma al servizio come sequela, al perdersi servendo nella sequela, nella dinamica di morte e resurrezione della Pasqua.
Non l’attrazione di una strada, di una visione intravista, di un ideale proposto, ma l’essere con Gesù come servo, più letteralmente diacono (diakonia, incarico assunto liberamente e per un tempo e un compito, non schiavitù). Per l’evangelista Giovanni la vita consegnata come servizio è il modo per eccellenza di prestare un servizio al Signore, a colui che si è per primo fatto servo degli uomini. In ebraico l’unica parola servizio/abodah esprime la totalità del vivere: l’idea della preghiera (servizio a Dio); dei rapporti / relazioni (servizio agli uomini); del lavoro (servizio alla terra). Questo servizio totale offre le risposte fondamentali alla nostra ricerca di senso, così presente nella vita “esagerata” di Charles de Foucauld.
Anche per lui il Crocifisso è la parola convincente, efficace: ancora più della sua stessa vita e predicazione, preparazione ed aiuto a capire, parla la sua morte, che svela l'irripetibile ma proponibile unicità salvifica del "sì" di Gesù, che realizza il desiderio di bene di Dio: obbediente al bene fino alla morte, il male per eccellenza. Passione per amore di Dio e degli uomini che non si fa sedurre da altre vie: il “salva te stesso e anche noi” è vissuto come “perdendo te stesso, salvi te stesso e anche noi”.
Salvezza come adesione di Gesù al Padre e del discepolo a Gesù. Pienezza di umanità, perché conservare la vita è uno degli istinti fondamentali, e qui si parla di conservare la vita al di là dei limiti, dell’inevitabile e totale scacco finale che ci attende e, apparentemente, livella e disillude ogni vita.
Non un premio “altro” rispetto al vissuto, ma un oggi che trova compimento e pienezza di senso nell’eternità. Vivere proprio tutto ciò che è non-salvezza, che è perdere la vita giorno dopo giorno e che è in realtà servizio, il luogo del nostro relazionarci ordinario, la nostra vita reale. Una possibilità di vivere il Vangelo, di vivere l’amore, di passare dall’io al tu, dal “liberami!” al “glorifica te” senza pretese di protagonismo

C’è bisogno di un cuore per accogliere questo modo, una vita patita per impararlo, una voce da ascoltare, un crocifisso da contemplare, un corpo donato da ricevere nell’eucarestia, così centrale nella vita di Charles.

fratel Daniele