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O Pai nosso dos não-crentes


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Avvenire, 15 setembro 2013
de JOSÉ TOLENTINO MENDONÇA
Jesus permite-nos aceder a um limiar novo de Deus e da nossa humanidade

Avvenire, 15 settembre 2013
di JOSÉ TOLENTINO MENDONCA

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JOSÉ TOLENTINO MENDONCA
 {link_prodotto:id=1132}

Per capire la preghiera del Padre nostro (e oserei dire, per comprendere ogni preghiera cristiana), è necessario ricercare il significato di questo "Padre" a cui ci dirigiamo. Che cos'è un padre? Mio padre si trova fuori e dentro di me. È una persona in carne e ossa, che possiede una storia, uno stile, un temperamento, che ha intrattenuto con me una serie di scambi fondamentali…

Ma il padre si trova anche dentro, all'interno di ciascuno di noi. È quello che noi chiamiamo imago. Una specie di rappresentazione psichica, che ci offre un modello per cementare l'architettura interiore. In verità, per crescere, per guadagnare l'indispensabile fiducia, tutti abbiamo avuto la necessità di avere in noi stessi nostro padre, e non solo fuori. E lo abbiamo incorporato. In seguito ci siamo proiettati in lui, abbiamo cercato di imitarlo, di essere come lui, di raggiungere il suo livello che già ci sembrava incalcolabile, di raggiungere la sua forza e le sue capacità che avevamo già considerato assolute e protettrici.

La grammatica del vivere, nella sua singolarità, ci sollecita una qualche forma di incorporazione della madre e del padre. La loro figura non solo permane di fronte ai nostri occhi, ma guadagna la sua esistenza interna. Questa "gestazione" permette che il bambino si strutturi interiormente e proceda in quella che sarà l'arte di una vita, la fiducia. In uno dei suoi libri, lo psicanalista João dos Santos racconta una storia interessante.

I bambini della Casa da praia, un'istituzione da lui fondata, erano stati convocati per realizzare un gioco: prendere d'assalto un castello. Le professoresse avevano organizzato tutto e la classe avrebbe preso d'assalto la fortezza, in pieno giorno, con spade ed elmi di cartoncino. Un gioco più o meno simile a tanti altri che abbiamo fatto anche noi. Ma al momento di iniziare il combattimento, un bambino di quattro anni si rifiuta di prendervi parte. E quando lo si incita affinché si faccia coraggio, si mette a piagnucolare, e dice: «Ho paura, non ho le forze, non riesco a lottare, mio padre è a Parigi».


 

Neppure i genitori degli altri bambini erano presenti, e dunque doveva essere indifferente la localizzazione di quel padre specifico. Ma quel che il bambino voleva esprimere possiede un'altra dimensione. In realtà, si dibatteva in questo modo: «Mio padre non è ancora sufficientemente forte dentro di me, come immagine, per poter lottare se non si trova al mio fianco. Mio padre è lontano, e sono, di conseguenza, un essere più fragile degli altri, non mi sento capace di affrontare il rischio… Sarebbe stato necessario che questa presenza fosse sufficientemente stabile e irradiante dentro di me».

Vi ricordate quando eravamo bambini e ci vergognavamo di guardare gli estranei? Senza il babbo o la mamma, vicini, non sapevamo fare un passo, camminavamo attaccati ai loro vestiti, ci alimentavamo della loro prossimità. È un po' paradossale, ma è così: abbiamo cominciato a guadagnare autonomia in relazione ai genitori quando loro hanno cominciato a collocarsi, in modo sicuro, dentro di noi. Era questo che mancava al bambino della storia precedente. L'assenza del padre dentro di sé lo paralizzava.

Per la maggior parte delle persone non ci sarà stato mai che un interlocutore: il padre o la madre. Figure preponderanti per la loro presenza o assenza, che liberano o schiacciano la vita con tutto il peso di ciò che essi non hanno saputo essere o dare. «Guarda quel che faccio! È per te, è per ottenere il tuo amore, è affinché finalmente tu volti i tuoi occhi verso di me, affinché tu mi dia con la piena luce dei tuoi occhi la certezza, la conferma che io merito di esistere». (...)


 

Simone Weil ha scritto che non si può concepire una preghiera che non sia già contenuta nel Padre nostro: questo «sta alla preghiera come Cristo all'umanità». Di più: «È impossibile pronunciarlo un'unica volta, prestando a ogni parola la pienezza dell'attenzione, senza che un cambiamento, forse infinitesimale, ma reale, si dia». Riusciamo a capire il Padre nostro solo quando ci sentiamo colpiti, frastornati, risolti, rinati attraverso di lui. Quando capiamo, in modo esistenziale, che prima di Gesù era una cosa, e con Gesù è un'altra cosa, completamente distinta. Dobbiamo passare da una spiritualità interiore, eccessivamente dipendente dall'inquadramento sociologico e dalle sue pratiche, a un'altra, più interiore, che ci permette di scoprire che Dio è Padre, è mio Padre, è il "Padre nostro".

Quando Gesù decide di insegnare il Padre nostro ai discepoli? Quando questi sono capaci di percepire Gesù come un avvenimento assolutamente nuovo. La preghiera è conseguenza, più che causa. È espressione del vissuto, più che una scoperta. Il Padre nostro nasce da un cammino. Ed è al culmine di una tappa di maturazione che il Padre nostro è rivelato.

Anche noi dovremo recitare il Padre nostro, con verità, quando avremo capito, non solo lungo la linea della storia e della sua spuma, ma nel più profondo di noi stessi, che Gesù Cristo porta la novità di Dio. Forse a tale fine dobbiamo, come raccomandava Fernando Pessoa, «imparare a disimparare». Disimparare i labirinti, tutte le trame, i modelli che ci soffocano e servono soltanto per farci rimandare il necessario incontro con noi stessi. Gesù ci fa accedere a una soglia nuova di Dio e della nostra umanità. E proprio perché aveva presentito tutto quanto abbiamo visto, quel discepolo chiese a Gesù: «Maestro, insegnaci a pregare».

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JOSÉ TOLENTINO MENDONCA
 {link_prodotto:id=1132}

Com Thomas Merton o diálogo do silêncio


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La Stampa
14 setembro 2013
de GIACOMO GALEAZZI
Em Azione e contemplazione, «a dimensão contemplativa da vida, fundamento do compromisso cristão» (édito da Comunidade de Bose) é a história de uma grande amizade que desponta. R. Williams relê Merton

La Stampa, 14 settembre 2013
di GIACOMO GALEAZZI

 

vai al libro: ROWAN WILLIAMS
  {link_prodotto:id=1131}

Il dialogo del silenzio. Thomas Merton, monaco trappista statunitense scomparso nel 1968 e Rowan Williams, ex arcivescovo di Canterbury, non si sono mai incontrati. Eppure in  {link_prodotto:id=1131}, «la dimensione contemplativa della vita fondamento dell'impegno cristiano» (edito dalla Comunità di Bose) è la storia di una grande amicizia a emergere. Williams rilegge Merton e sembra parlargli. E quest'ultimo rispondergli. La vita di Merton, specie dopo che aveva abbracciato la vita monastica, è stata in larga misura una vita di dialogo con persone o distanti o defunte (molti santi e scrittori dei secoli passati).

Williams ripercorre da vicino due di questi rapporti, dapprima quello con il teologo ortodosso Paul Evdokimov e quindi quello con Karl Barth, teologo riformato che, per sorprendente provvidenza, morì lo stesso giorno del monaco trappista, E rivela in questo modo l'impatto sul pensiero di Merton avuto dai libri di Hannah Arendt, Fedor Dostoevskij, Vladimir Lossky, Olivier Clelment, Dietrich Bonhoeffer, Boris Pasternak e Giovanni della Croce. In questo insieme di saggi, come sottolinea Jim Forest nella prefazione, si può cogliere come Rowan Williams, tanto quanto Thomas Merton, ritenga incompleta la vita cristiana sprovvista di una dimensione contemplativa e riconosca altresì che la vita contemplativa è accessibile non solo a chi vive in monastero ma a chiunque si metta alla ricerca di un monachesimo interiorizzato, poiché la preghiera contemplativa è vocazione di ogni credente. Quindi «Merton si sarebbe fortemente rallegrato di essere letto in maniera così attenta e perspicace». Si sarebbe rallegrato, appunto. Avrebbe ritenuto Williams un amico.

Williams è uno dei più noti e acuti teologi della comunione anglicana, la cui ricerca è particolarmente rivolta allo studio dei padri e della spiritualità cristiana. Attualmente è preside al Magdalene College di Cambridge. È direttamente Williams a spiegare la vicinanza di Merton nella sua vita, l'amicizia sul filo dei suoi scritti.«Fare ripetutamente ritorno a Merton è stato come riprendere una conversazione interrotta, e mi ha portato ancora una volta a riconoscere in quale misura lo stimolo offerto dai suoi scritti abbia rappresentato un elemento costante nella mia vita e nella mia riflessione». Nel rivedere questi articoli al fine di una loro nuova pubblicazione, Williams ha aggiunto alcuni passi per evidenziare le continuità, per ribadire che una volta che si è iniziato a «rompersi il capo con Merton» sono stati posti nel suolo della mente i semi di lunghe riflessioni e preghiere. Semi di contemplazione, si potrebbe dire. Merton non è un autore che una volta letto lo si archivia.

Il fatto di mettere insieme questi contributi offre a Williams l'opportunità di esprimere la gratitudine dovuta a uno scrittore che ha cambiato definitivamente per molti il panorama della riflessione cristiana, e che ha arricchito generazioni di uomini e donne desiderose di pensare e pregare con lui. Cosi Merton descriveva l'abbandono di ogni mondanità e la ricerca di Dio:«Per colmarmi, m'ero vuotato. Per afferrare tante cose le avevo perdute tutte. Nel divorare i piaceri e le gioie, avevo trovato il turbamento, l'angoscia e la paura».

GIACOMO GALEAZZI

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  {link_prodotto:id=1131}

Porque podemos rezar juntos?


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La Stampa - Tutto Libri
1 Outubro 2011
de ENZO BIANCHI
O diálogo das fés no espírito de Assis
Passado um quarto de século Bento XVI relança o "Espírito de Assis" convidando todos os homens de boa vontade para uma jornada de peregrinação, diálogo e oração pela paz e justiça no mundo.

RECENSIONI AI LIBRI E CD DI BOSE

La Stampa - Tutto Libri
1 ottobre 2011
di ENZO BIANCHI

pdf Perchè si può pregare insieme

vai ai libri:
JEAN MARIE PLOUX
{link_prodotto:id=978}

{link_prodotto:id=1002}
Le religioni nello «spirito di Assisi»
a cura di
MATTEO NICOLINI ZANI 

Il dialogo tra fedi nello spirito di Assisi

Sono trascorsi venticinque anni da quando papa Giovanni Paolo II, sorprendendo molti, anche tra i suoi più stretti collaboratori, promosse «un incontro di preghiera per la pace» da tenersi ad Assisi, luogo divenuto grazie a san Francesco «centro di fraternità universale». L'annuncio delle «consultazioni con i responsabili non solo di varie chiese e comunioni cristiane, ma anche di altre religioni del mondo» venne dato a Roma a conclusione dell'ottavario per l'unità dei cristiani. Ora, a distanza di un quarto di secolo, Benedetto XVI rilancia lo «spirito di Assisi» invitando anche «tutti gli uomini di buona volontà» per una giornata di pellegrinaggio, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo.

Ma cosa si intende davvero per «spirito di Assisi»? Le Edizioni Qiqajon hanno pubblicato due volumi che permettono di sviscerarne il significato profondo: il primo {link_prodotto:id=978} di JeanMarie Ploux, (pp. 290, € 25,00) analizza le implicazioni del dialogo interreligioso nella vita e nella testimonianza della chiesa, mentre il più recente {link_prodotto:id=1002}. Le religioni nello «spirito di Assisi» (a cura di Matteo Nicolini Zani, pp. 168, € 16,00) ripercorre i testi che in questo ampio lasso di tempo, attraversato da eventi storici di grande portata, hanno alimentato la riflessione dei cristiani sui loro rapporti con le altre religioni e sul loro atteggiamento verso la pace e la giustizia. Vi troviamo innanzitutto uno spaccato delle motivazioni all'origine dell'iniziativa e una raccolta degli appelli e dei discorsi che ne preciseranno il senso e il contesto.


 

Una seconda parte analizza le sfide che la preghiera «interreligiosa» pone, attraverso i documenti ecumenici che hanno affrontato teologicamente i vari aspetti del problema. Una rilettura del magistero di Benedetto XVI su questa tematica così decisiva per la testimonianza dei credenti nel mondo di oggi e lo status quaestionis attuale ad opera di uno dei più acuti interpreti cattolici del dialogo interreligioso, il vescovo Michael Fitzgerald chiudono la raccolta.

Dalle pagine emerge il consenso sulla possibilità di trovarsi «insieme per pregare» cosa diversa dal più coinvolgente e impraticabile «pregare insieme» e l'arricchimento che nasce da un sincero dialogo tra credenti. La fede non viene scossa dall'aprirsi agli altri, ma riceve anzi risorse per narrarsi in un linguaggio più comprensibile e per tradursi in un operare fecondo. II dialogo, infatti, «non cambia la fede»: non porta cioè a un tradimento delle proprie radici, ma può mutare l'espressione e la consapevolezza del credere, a beneficio non solo di chi il dialogo lo pratica, ma anche di quanti ne raccolgono i frutti, dentro e fuori l'ambito delle singole religioni.

Perché, come ha avuto modo di scrivere il card. Etchegaray, tra i protagonisti del primo incontro: «Assisi ha fatto fare alla chiesa uno straordinario balzo in avanti verso le religioni non cristiane... Ha permesso a uomini e donne di testimoniare, nella preghiera, un'esperienza autentica di Dio al cuore delle loro religioni». Ravvivare lo «spirito di Assisi» in un mondo disorientato e alla ricerca di senso è allora un servizio che i cristiani, insieme tra loro e con i credenti di altre religioni, possono offrire ai loro fratelli e le loro sorelle in umanità.

ENZO BIANCHI 

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JEAN MARIE PLOUX
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{link_prodotto:id=1002}
Le religioni nello «spirito di Assisi»
a cura di
MATTEO NICOLINI ZANI

RECENSIONI AI LIBRI E CD DI BOSE 

Carta a um amigo sobre vida espiritual


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Lankelot.eu, 18 Fevereiro 2011
de NICOLA VACCA
O convite a não desistir, a não deixar de fazer perguntas - sobre si, os outros e sobre o que acontece - exige coragem. Esta é a via a seguir que Enzo Bianchi recomenda para pôr em comunhão a nossa humanidade

Mulheres enamoradas de Deus


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Il Sole 24 Ore, 4 agosto 2013
de GIANFRANCO RAVASI
Existe na mente de muitos o estereotipo de um cristianismo anti-feminino. Como todos os lugares comuns, também este preconceito tem uma sua verdade        

 

Il Sole 24 Ore, 4 agosto 2013
di GIANFRANCO RAVASI

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LISA CREMASCHI
 {link_prodotto:id=1099}
Vite di monache d'oriente e d'occidente

Incastonato nella mente di molti c'è lo stereotipo di un cristianesimo antifemminile. Come tutti i luoghi comuni, anche questo pregiudizio ha una sua verità che non regge, però, in equilibrio al confronto con l'altro piatto ove troviamo la vivace presenza della donna come protagonista. Non si dimentichi, infatti, che il Cristo risorto appare innanzitutto a un gruppo di donne - una classe "inferiore" nello statuto sociale dell'antico Vicino Oriente - affidando loro l'incarico di "evangelizzare" gli apostoli maschi, tant'è vero che l'antica tradizione cristiana orientale non esiterà a chiamare Maria Maddalena «apostola degli apostoli». Lo stesso san Paolo giunge al punto di definire, nel finale della Lettera ai Romani, una tale Giunia «apostola» con suo marito Andronico (16,7), accanto a una piccola folla di altre donne, a partire dalla «diaconessa» Febe, per continuare con Prisca, Maria, Trifena, Trifosa, «la carissima Pèrside», la madre di Rufo, finendo con Pàtroba, Giulia, la sorella di Nereo e Olimpas. Si provi poi a scorrere le altre Lettere paoline per sfatare il mito di un Paolo misogino, fermamente convinto invece della pari dignità dei due sessi agli occhi della fede: «Non c'è più né giudeo né greco, non c'è schiavo né libero, non c'è maschio e femmina perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Galati 3, 28). Certo, il contesto socio-culturale non era quello odierno, né nell'orizzonte giudaico, né in quello grecoromano. Basti solo evocare la sconcertante preghiera mattutina suggerita dal Talmud babilonese all'ebreo maschio perché ringrazi Dio di non averlo fatto nascere né pagano, né donna, né ignorante. E, tanto per scegliere fior da fiore nell'altro settore, quello classico, un raffinato autore latino come Aulo Gellio (II sec.), nelle sue popolarissime Notti Attiche, era lapidario: Mulier, malum necessarium!

L'obiezione, però, potrebbe essere questa: come si è comportato il cristianesimo successivo nei confronti della donna? Una delle risposte sorprendenti - senza per questo cancellare le oscurità e le necessarie autocritiche ci viene offerta da una monaca di oggi, Lisa Cremaschi della comunità di Bose (Biella), che apre il sipario sulle sue colleghe dei primi secoli, vere e proprie matriarche o madri della Chiesa da accostare a patriarchi e padri della cristianità. Di esse l'autrice offre un'antologia di testimonianze o memorie, che vanno dalle origini fino alla sorella di san Benedetto, Scolastica, alle soglie del VI secolo, una donna celebrata da un papa, san Gregorio Magno, che le riserverà questo straordinario epitaffio: «poté di più colei che amò di più».


 

In questa ideale galleria di donne innamorate di Dio sfilano figure non di rado emozionanti, a cominciare dalla prima ricordata, Macrina, sorella di un altro grande Gregorio santo, il vescovo di Nissa in Cappadocia, che ne scrisse la biografia, e di un altro importante personaggio di quella Chiesa, san Basilio. «Con te anche la notte era illuminata come il giorno», la piangeranno le sue compagne monache sul letto di morte, donne aristocratiche ed ex-schiave che vivevano assieme a lei nella tenuta familiare di Macrina, trasformata in oasi spirituale. E poi c'è Sincletica, celebrata negli Acta sanctorum come «la perla ignorata da molti», una patrizia di Alessandria d'Egitto, ritiratasi avita contemplativa in un «sepolcro», ossia in uno dei tanti edifici funerari egizi orientati verso il Nilo. Potente nel suo ritratto biografico abbozzato da un altro grande della cristianità alessandrina, sant'Atanasio, la rappresentazione del suo crepuscolo nel disfacimento fisico: divenuta un agnello sacrificale afono come il Servo messianico cantato dal profeta Isaia (53,7), fissa lo sguardo sull'Invisibile perché «le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne».

E poi c'è il curioso (ma non unico) caso - dai contorni leggendari, ma dalla sostanza storica - di Maria «travestita» da uomo fino ad assumere il nome di «Marino» per poter entrare in monastero col padre vedovo, divenuto monaco. Parlavamo di matrice storica perché un concilio locale celebrato a Gangra (Turchia) nel 345 aveva emesso questo anatema contro una prassi tutt'altro che insolita: «Se una donna, per presunta ascesi, si taglia i capelli... e, al posto del consueto abito femminile, indossa quello maschile, sia anatema!». La provocazione di Maria-Marino, seguita da altre donne, riflette indirettamente il contesto maschile allora dominante a cui non si riusciva a proporre da parte femminile altra alternativa se non la sua imitazione. A questo proposito Lisa Cremaschi nell'introduzione alla sua antologia giustamente s'interroga: «Cercare la parità di diritti con l'uomo negando l'alterità è una via di liberazione per la donna? Non è forse soltanto un'ulteriore affermazione dell'inferiorità della donna che per potersi realizzare dovrebbe imitare la "superiorità" dell'uomo, diventare ciò che non è, negando la propria alterità?». È un po' in questa luce, prescindendo dalle questioni strettamente teologiche, che si dovrebbe impostare a livello generale la spinosa questione del dibattito sul sacerdozio femminile e, più in generale, quello del rapporto uomo-donna e della teoria del gender.


 

Lasciato alle spalle ormai da tempo (ma a livello pratico è proprio così?) il paradigma della "subordinazione" della donna all'uomo, così come il suo antipodo radicale femminista, si potrebbe andare oltre la rigida parità spesso artificiosa (le «quote rosa»...) e imboccare una via più "simbolica", cioè unificatrice, quella della reciprocità nell'equivalenza e nella differenza. È, dunque, indispensabile una metamorfosi, superando appunto sia il modello di inferiorità/complementarità, sia quello dell'astratta parità/identità, per sfociare in una reciprocità relazionale sulla base dell'equivalenza.

A questo esito aiutano anche le altre fisionomie femminili raccolte da Lisa Cremaschi: dalle «bibliste» Marcella e Paola, le nobildonne romane discepole e amiche di san Girolamo, il celebre traduttore latino delle Sacre Scritture, fino alla bellissima Melania la Giovane (così denominata per distinguerla dalla più radicale nonna Melania), ricca, affascinante, colta, appartenente all'alta società romana, coniugata contro la sua volontà a un cugino che con lei prenderà i voti monastici. Lasciamo ai lettori di seguire le avventure umane e spirituali di Melania attraverso la narrazione del suo segretario Geronzio, un nome liberamente evocato nel poemetto Gerontion di Eliot (1920). Rimane, comunque, forte l'impressione che queste donne di terre e origini diverse, capaci di inerpicarsi sui sentieri ardui della spiritualità e dell'interiorità, con libertà, originalità e creatività, lasciano nel lettore moderno. Spogliata della sua enfasi, dovremmo alla fine condividere la sostanza della considerazione del Diario di un poeta di Alfred de Vigny: «Dopo aver riflettuto bene sul destino delle donne in tutti i tempi e in tutti i Paesi, ho finito per convincermi che ogni uomo dovrebbe dire a ogni donna, invece del solito "buon giorno!", un "Perdona!"».

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LISA CREMASCHI
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Vite di monache d'oriente e d'occidente

Poesia de Dietrich Bonhoeffer


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tellusfolio.it, 18 Março 2011
de NICOLA VACCA
Poesia (Edições Qiqajon, 85pp, 9 euros) recolhe a breve e fulminante experiência poética do teólogo, que no espaço apertado de uma cela, descobre a poesia como a forma mais imediata para comunicar