V domingo da Quaresma
Il testo presenta anche un confronto tra peccatori: una peccatrice nota, che tutti sanno tale (la donna colta in flagrante adulterio), e dei peccatori i cui peccati sono nascosti, ovvero coloro che vogliono condannarla invocando la Legge di Mosè sulla lapidazione. La parola di Gesù infatti svela il peccato nascosto che tutti loro, rinviati alla loro coscienza, albergano in sé. Ossia: una differenza fondamentale tra i peccati è quella tra peccati noti a tutti, peccati risaputi (che spesso si traducono in omicidio simbolico linguistico: quello è un adultero, è un ladro, è un omicida; il gesto negativo di un momento sequestra per sempre l’identità di una persona), e peccati nascosti, che gli altri non sanno. Da Gesù impariamo che il peccato manifesto di una persona è occasione per riconoscere il nostro peccato nascosto e per accedere al pentimento.
L’enigmatico gesto di Gesù che per due volte si china, scrive con il dito per terra, si rialza e parla (vv. 6-7; vv. 8.10) evoca la duplice ascesa e discesa di Mosè dal Sinai per ricevere le tavole della Legge “scritte dal dito di Dio” (Es 31,18) e rinvia a quel complesso di Es 32-34 in cui la Legge fu infranta contemporaneamente al suo essere donata, sicché da subito il dono della Legge appare ripetuto, appare per-dono. La Legge è segno della misericordia di Dio e della sua grazia. In particolare, il gesto simbolico di abbassarsi e rialzarsi da parte di Gesù rappresenta l’abbassamento e l’innalzamento di Cristo sulla croce, vera sintesi dell’intera storia di salvezza e autorevole ermeneutica del volere del Dio misericordioso e compassionevole. Non sappiamo ciò che Gesù ha scritto per terra, ma l’unico scritto che Gesù poteva lasciare è la croce, sigillo di una vita spesa fino alla morte nel segno dell’amore per il Padre e della misericordia per gli uomini.