Press review

Avvenire, 30 October 2008 
by ENZO BIANCHI

CRISTIANI, TORNA L'EPOCA DEI MARTIRI

Avvenire, 30 ottobre 2008
di ENZO BIANCHI

Una nube di testimoni
Simposio ecumenico internazionale

La realtà del martirio, mai scomparsa dagli orizzonti della presenza cristiana nel mondo e tornata di drammatica attualità anche in Paesi resi a noi vicini dalla globalizzazione degli eventi e delle notizie, resta quella di una testimonianza pubblica della fede in Dio e in Gesù Cristo data da uomini e donne, testimonianza che giunge fino alla morte violenta e che, a partire da una certa epoca, viene designata con il termine riassuntivo di martirio­.

In questo senso ­innegabile che le Sante Scritture presentino modelli di martiri­ ante litteram sui quali i credenti cristiani, fin dalle prime generazioni, hanno meditato per rinsaldare la loro fede: sono figure esemplari che attestano la continuità della tradizione del martirio per i credenti della Prima e della Nuova Alleanza, basti pensare ai profeti perseguitati, al ­Servo del Signore­ di cui parla Isaia e ai fratelli Maccabei. Modelli di testimonianza molto prossimi alla concezione cristiana del martirio al punto che potremmo dire che manca una sola cosa, quella essenziale: la persona di Gesù Cristo, causa di vita e di morte per i suoi discepoli. Ora, il tema della testimonianza/ martirio nel Nuovo Testamento può essere colto in profondità partendo proprio dall’ottica della passione subita da Gesù, dalla sua morte in croce. I Vangeli si preoccupano di affermare che Gesù è ­andato verso la morte non per caso, na motivo di un destino incombente su di lui.

No, Gesù non è ­stato arrestato casualmente: lui stesso aveva previsto la propria fine, la fine che era toccata a tutti i profeti, la fine fatta dal suo maestro Giovanni il Battista solo pochi anni prima, la fine che era l’esito dell’opposizione crescente verso di lui da parte del potere religioso. Non si dimentichino in proposito le sue invettive contro quanti edificavano le tombe ai profeti, facendosi in tal modo solidali con chi li aveva uccisi, e il suo lamento su Gerusalemme, che uccide i profeti e lapida quelli che le sono inviati­( cf. Mt 23,37; Lc 13,34). Ma il suo non era neanche un fato ineluttabile: Gesù restava libero di fronte al cerchio che si stringeva attorno a lui, libero di fuggire e tornare in Galilea, oppure di terminare a Gerusalemme, nel Tempio, quell’itineranza e predicazione alla gente iniziata nelle sinagoghe e nelle piazze dei villaggi. Nè caso, nè destino: Gesù va verso la morte nella libertà e per amore,­avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine( Gv 13,1). Egli aveva detto che ­era necessaria­( Mc 8,31 e par.) la sua passione, ma lo era di una necessità ­precisa, innanzitutto umana, sulla quale avevano già meditato i sapienti di Israele: ­In un mondo di ingiusti, il giusto può solo essere osteggiato, perseguitato e, se possibile, ucciso­, come attestano i primi due capitoli del libro della Sapienza. E la storia conferma questa necessità intraumana: chi ha sete di giustizia, la vive e la predica, incontra ostilità e rifiuto, ieri come oggi. Gesù avrebbe potuto tacere o passare dalla parte degli ingiusti: allora l’ostilità verso di lui sarebbe cessata. Continuando invece a essere fedele alla volontà di Dio, continuando a passare tra gli uomini facendo il bene ( cf. At 10,38), poteva solo preparare il suo rigetto, da parte del potere romano, che vedeva in lui una minaccia alle pretese totalitarie dell’imperatore, e da parte del potere religioso, che non sopportava il volto di Dio narrato da Gesù. Così la necessità umana diventa anche necessità divina: non nel senso che Dio, suo Padre, lo voglia in croce, ma nel senso che l’obbedienza alla volontà di Dio, volontà che chiede di vivere l’amore fino all’estremo, esige una vita di giustizia e di amore anche a costo della morte violenta. E qui ­è fondamentale ribadire che l’assunzione da parte di Gesù di questa fine tragica non è ­mai andata disgiunta dalla sua fede nel Dio che viene a salvare il giusto, che non abbandona per sempre il suo amico nelle mani degli empi ( cf. Sal 37,28). Sì, la rivelazione sempre più chiara del futuro che lo attendeva­ stata vissuta da Gesù nell’adesione fiduciosa e nella speranza riposte nel Dio che interviene, nel Padre che risponde: l’ultima parola sarebbe toccata a Dio, che certamente avrebbe rialzato dai morti il suo Figlio amato! In altre parole, la fede di Gesù nel Regno veniente e la sua comunione con Dio e con i fratelli sono rimaste sempre salde e hanno sostenuto e portato a compimento il suo amore: anche di fronte alla morte Gesù ha continuato ad amare i fratelli e ad accettare di essere amato da loro, ha continuato a credere nell’amore di Dio. E così Gesù è ­stato risuscitato da Dio in risposta alla vita che aveva vissuto, al suo modo di vivere nell’amore fino all’estremo: potremmo dire che è stato il suo amore più forte della morte a causare la decisione del Padre di richiamarlo dai morti. Davvero la resurrezione di Gesù è ­ il sigillo che Dio ha posto sulla sua vita: resuscitandolo dai morti Dio ha dichiarato che nell’amore vissuto da quell’uomo era stato testimoniato tutto ciò che è ­essenziale per conoscere lui.

Ecco in cosa consiste ­la testimonianza di Gesù ­, come la definisce il veggente dell’Apocalisse; ecco ciò che fa di lui il testimone fedele ­( Ap 1,5; 3,14), colui che dalla sua croce gloriosa insegna ai suoi discepoli come affrontare tribolazioni e sofferenze per il Vangelo nella fedelte nell’amore. Ha scritto Bruno Maggioni: ­Il martire non sceglie la morte, ma un modo di vivere, quello di Gesù­. Ecco ciò che contraddistingue il martire cristiano, la sua radicale specificità.­ È sotto questa luce che possiamo rileggere la testimonianza data dai credenti in Gesù Cristo, quale ci è ­presentata dal Nuovo Testamento: Stefano che prima di morire, a imitazione del suo Signore, chiede a Dio il perdono per i suoi carnefici ( cf. Lc 23,34; At 7,60); Giacomo, fatto uccidere di spada dal re Erode ( cf. At 12,2), nipote di quell’Erode che aveva perseguitato Gesù ( cf. Lc 23,7- 12); Pietro,­testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi­( 1Pt 5,1); Paolo, che nella fede esclama: “Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perchè anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo“­( 2Cor 4,10); Antipa, che nell’Apocalisse è ­definito da Cristo “­il mio fedele testimone“­( Ap 2,13); infine, sempre nell’Apocalisse, la moltitudine di “quelli che vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello“­( Ap 7,14),che hanno vinto l’Accusatore grazie al sangue dell’Agnello e alla parola del loro martirio­ ( Ap 12,11). Dove la memoria di Cristo si fa autentica ed efficace, lì il cristiano deve sapere che diventa possibile bere il calice della morte violenta, come Gesù ha preannunciato a Giacomo e Giovanni ( cf. Mc 10,38). Il martirio non è ­un progetto per cui tramare, non è ­neppure un progetto di santificazione propria, ma­ un puro dono di Dio in Gesù Cristo.

Sempre vale la pena di vivere e di morire per Cristo, e il martirio è l’evento puntuale attraverso cui il cristiano testimonia che egli appartiene solo al suo Signore, che l’amore di lui e per lui vale più della vita ( cf. Sal 63,4). Sì, come scriveva Ignazio di Antiochia nel suo cammino verso il martirio: ­“Allora sarò veramente discepolo del Signore, quando il mondo non vedrà più il mio corpo, perchè nel martirio comincerò a essere discepolo­ ( cf. Ai romani IV, 3; V, 3).

Enzo Bianchi