Les âges de la vie spirituelle. Conclusions

La nascita della vita in Cristo

Nella prima lettera di Pietro noi leggiamo che Dio ha rigenerato i cristiani “con una speranza viva attraverso la resurrezione di Cristo”. La vita cristiana, nella fede, nella speranza, nella carità, non è più una condizione naturale vissuta nel solco delle generazioni, ma è un evento frutto della misericordia di Dio. In apertura del convegno abbiamo ascoltato una riflessione sul sacramento del battesimo, impartito nel nome della Trinità, che attraverso una triplice immersione realizza la morte al peccato e una nuova nascita del credente, integrandolo nel corpo di Cristo. Una morte e una resurrezione in cui il credente è immesso in questa vita come dono, che è stata la vita vissuta da Gesù Cristo.

Nicola Cavasilas commenta un passo degli Atti – lo abbiamo ascoltato citare spesso – in cui dice che il battesimo “dona l’essere e la piena esistenza in Cristo perché ci accoglie i morti e in decomposizione e primo tra tutti i sacramenti ci introduce nella vita”. L’iniziazione cristiana segna questi passaggi della vita, questo diventare adulti in Cristo. È stato ricordato il senso della crismazione, con le sue differenze tra Oriente Occidente, come piena maturità della vita cristiana, e il senso dell’eucarestia, come continuo dono che ci permette di vivere in Cristo.

Questa dinamica consente di vedere la vita come un tutto. Romano Guardini coglieva la necessità di mettere in relazione le fasi dell’esistenza con la vita nella sua interezza, e ricordava che questa dialettica tra la parte e il tutto non si allenta mai, ma evolve nel tempo: “Nessun tempo va sottratto ai propri ritmi e nessun tempo va forzato a essere un altro. Nessun tempo è il tempo migliore … l’inizio della fine sono dei misteri. La distinzione tra l’inizio della vita, la nascita e l’infanzia non significa che la vita prende le mosse da un punto di partenza poi lasciato dietro di sé, ma che questo punto di partenza accompagna la vita nel suo svolgimento … Inversamente, la fine agisce a ritroso sino al primo inizio … La vita non è un affastellamento di parti, bensì una totalità che – con un’espressione un poco paradossale – è presente in ogni punto dello sviluppo”.

Nel mistero dell’inizio della vita noi siamo gettati – è stato ricordato il romanzo di Dostoevskij dove Kirillov, uno dei personaggi, in modo molto drammatico protesta contro questa sua immissione della vita senza la sua autorizzazione –; ma proprio questo essere dato della vita, questo mistero dell’inizio coincide con il mistero della vita della fine, in cui siamo noi a riconsegnare la vita che abbiamo ricevuto. Ecco allora perché tra questo inizio e questa fine a noi compete un esercizio: è l’ascesi del tempo, lo sforzo di non fare delle età della vita un mosaico di frammenti, ma una totalità presente in ogni stagione.

La parabola della vita del credente si configura in modo esemplare in Mosè. Nella lettura tipologica e allegorica dei padri – abbiamo ascoltato in particolare l’esegesi di Gregorio di Nissa – Mosè diventa un esempio. Nella figura dell’esodo è rispecchiata la nostra maturazione umana e spirituale. Il racconto biblico non traccia un quieto sviluppo lineare della vita di Mosè, in cui si rappresentano le diverse età della vita, ma un cammino segnato da crisi e da rotture. Mosè va di fuga in fuga: fugge dalle acque, fugge dagli egiziani. “… fuggì via Mosè a quelle parole e si rifugiò nella terra di Madian” (Es 2,15). È solo un incontro, un kairòs, a trasformare Mosè in profeta: è l’evento del Roveto ardente.

Allora anche la sua fuga si trasforma nell’inizio di un’uscita, diventa l’esodo di tutto il popolo. E l’esodo ? lo sappiamo ? è un lungo e difficile battesimo che attraversa la morte. Il perfezionamento, paradossalmente, non ha fine; ma questo significa che la perfezione non è altro dal camminare nella giusta direzione, cioè facendo giustizia: vivendo nell’adempimento dei comandi di Dio.

In Gregorio di Nissa questo inizio, che è la creazione, diventa l’inizio che è la fede, il principio che è la trasfigurazione di tutte le cose. Al centro di questo cammino sta il monte dell’incenso, che significa la deificazione, e al tempo stesso il monte della mirra: il monte che ricorda la morte del Messia, il cammino come attraversamento della morte, battezzati nella morte di Cristo. Il percorso non si ripiega sull’inizio, come l’eterno ritorno dell’Uguale della filosofia nichilista del xx secolo, perché Dio crea una cosa nuova.
Questo inizio, che sono molti inizi, lo ritroviamo descritto e analizzato negli autori che hanno codificato le tappe di maturazione spirituale soprattutto nella tradizione monastica. Abbiamo ascoltato gli autori della tradizione siriaca con i diversi modelli di sviluppo della vita spirituale. Dalla sapienza di Isacco il Siro abbiamo constatato come la progressione nella vita spirituale non sia una successione temporale lineare, ma un movimento verticale che alterna alti e bassi, sottoposto all’azione concomitante della lotta contro le tentazioni da una parte e dell’assistenza dell’aiuto di Dio dall’altra.

Così la scala di Giovanni il Sinaita disegna un cammino che non è solo per il solitario, come nella tradizione evagriana, ma conduce a un’integrazione di tutto l’uomo, dei sensi dell’uomo con il suo spirito e con la sua mente, e soprattutto a un completamento della persona nel rapporto con gli altri. La perfezione solo interiore è un inganno. Occorre anche questo movimento di estroversione, come ci ha ricordato uno dei relatori della tavola rotonda, nel tentativo di aggiornare la sapienza dei padri, di metterla in contatto e in dialogo con i temi e le attese dell’umanità contemporanea.

Già nella tradizione non è presente solo la ricerca della perfezione nel deserto, nell’anacoresi, ma avviene quella che si può definire la dislocazione del deserto nel cuore di ogni cristiano, luogo di lotta spirituale, ma anche nel cuore del mondo. I padri, nel definire la perfezione, non ponevano come discriminante la scelta del celibato; erano anzi convinti che in tutti gli stati di vita fosse possibile vivere in perfetta obbedienza ai comandamenti di Dio. Proprio il ciabattino di Alessandria rivelerà ad Antonio ciò che abita il suo cuore. Chi può sostenere il pensiero di Antonio?, si sarebbe chiesto molti secoli dopo san Silvano del Monte Athos, meditando il detto di Antonio.

E il pensiero di Antonio, secondo Silvano, è proprio quello che il ciabattino aveva consegnato al padre dei monaci: “Tutti saranno salvati, tutti quelli che vedo passare per la strada, uomini e donne, anziani e giovani, vecchi e bambini, forti e deboli, santi e peccatori. Il cammino della loro vita è una grande carovana che naviga verso il Cristo, che li accoglie nel cielo. Solo io sarò escluso, solo io sarò nell’inferno”. Questo è il pensiero di Antonio, questo è il pensiero che ritorna in Silvano del Monte Athos: questo è il pensiero che fa della speranza una speranza contro ogni speranza. Per sostenere questo pensiero occorre crescere alla misura di Cristo.