On ne nait pas chrétien, on le devient

L’ultimo grande exemplum veterotestamentario di paternità spirituale, quella di Elia nei confronti diEliseo, testimonia, nella laconicità del racconto di vocazione del discepolo, che è la parola di Dio, sovrana e pienamente efficace, a suscitare la chiamata e a sostenere la risposta: Eliseo «si alza e segue Elia, entrando al suo servizio» (cf. 1Re 19,21), «versandogli l’acqua sulle mani» (cf. 2Re 3,11), cioè condividendo con lui l’intimità di una vita comune. Come già aveva notato la tradizione rabbinica («Non si dice: “Studiò”, ma “Versò”; da qui risulta che la pratica è più importante dello studio teorico», Talmud babilonese Berakot 7b), e come diranno a più riprese i padri del deserto, è la condivisione quotidiana dell’esistenza la fonte più sicura di insegnamento per il discepolo. Che cos’è in fondo il contenuto della paternità spirituale? È la trasmissione dello Spirito: «Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo!» (2Re 2,15), il padre trasmette al figlio il proprio spirito, inestricabilmente connesso con lo Spirito di Dio, fonte di vita in abbondanza e vero protagonista della vita spirituale.

Nel Nuovo Testamento la chiamata che Gesù rivolge ai dodici affinché abbandonino casa, famiglia e campi per «stare con lui» (Mc 3,14), rinnova e radicalizza quanto era stato vissuto da Elia ed Eliseo: ormai non c’è nemmeno più il tempo per congedarsi da quelli di casa. Gesù si rivolge ai discepoli chiamandoli «figli» (tékna: Mc 10,24) o «piccoli figli» (teknía: Gv 13,33; paidía: Gv 21,5), così come farà anche Giovanni verso i cristiani della sua comunità (teknía: 1Gv 2,1.12.28; 3,7.18; 4,4; 5,21). Tutta la vita comune di Gesù con i suoi può essere interpretata come un paziente lavoro mediante il quale egli cerca di narrare loro il volto di Dio e di generarli quali «figli del Padre che è nei cieli» (Mt 5,45), «figli del Regno» (Mt 13,38): nessuna autoreferenzialità da parte sua, ma la chiara coscienza di avere tutto ricevuto dal Padre e, di conseguenza, la gioia di restituirgli ogni cosa e ogni relazione. Per questo con grande intelligenza l’autore della Lettera agli Ebrei può mettere in bocca a Gesù asceso al cielo le parole del profeta Isaia: «Ecco, io e i figli che Dio mi ha dato» (Eb 2,13; cf. Is 8,18); nasce qui la tradizione patristica sulla “paternità del Cristo”, che trova un’eco anche nella Regula Benedicti (II,1-3), e dice la coscienza del fondamento cristologico che i padri riconoscevano alla prassi della paternità spirituale.