Conclusions du Colloque

 

In questi giorni abbiamo concentrato il nostro sforzo proprio su questa dinamica che dall’isolamento degli individui conduce alla comunione delle persone, ma che necessariamente passa per un’autentica vita interiore nella libertà. Lo hanno a più riprese ricordato i messaggi dei capi delle chiese qui rappresentate, insistendo sull’insegnamento offerto dall’esperienza monastica, dove solitudine e silenzio introducono “alla relazione e all’essere in comunione con gli altri” (Bartolomeo I di Costantinopoli), e mostrando come le dimensioni di solitudine e comunione trovino un modello di armonica compenetrazione nella vita stessa di Gesù come ci è consegnata dalla narrazione evangelica (il patriarca di Mosca Kirill I e papa Benedetto XVI).

Forse abbiamo già qui tracciate le linee di fondo che hanno guidato la nostra riflessione. Da un lato solitudine e comunione sono dimensioni irrinunciabili dell’essere stesso dell’uomo nel mondo, dall’altro vengono illuminate dalla vicenda di Cristo. Nel mistero della chiesa, una e molteplice, si rende manifesto il fondamento cristologico di solitudine e comunione, e insieme la dimensione pneumatologia di questa polarità fondamentale della vita spirituale. « L’œuvre du Christ unifie, l’œuvre du Saint-Esprit diversifie » (Vladimir Lossky).

Questa compenetrazione tra solitudine e comunione è una costante nella Scrittura e nella storia della chiesa. La dimensione del “deserto” (éremos), quale luogo di prova e di incontro con il Dio vivente, tempo e luogo dell’obbedienza e della disobbedienza alla Parola, è fondante per l’esperienza spirituale di Israele, l’evento che lo costituisce quale “assemblea santa”. Prima della parola di comunione, viene la parola di separazione: diventare a immagine di Dio ? la vocazione biblica dell’uomo ? è diventare a immagine di un Dio che abita la distanza, il nascondimento; è un Dio che chiama alla comunione, non alla fusione. Gesù stesso approfondisce il senso della sua vocazione nell’eremos, il deserto: la conoscenza di Dio nella solitudine ci apre alla comunione nella verità.

Nel Nuovo Testamento, il termine comunione (koinonía) indica essenzialmente la partecipazione alla vita divina dischiusa da Gesù Cristo, che si manifesta in particolare nella sua dimensione eucaristica, “nella comunione al sangue e al corpo di Cristo” (cf. 1Cor 10,16). È nella comunità eucaristica che anche l’esperienza monastica trova il suo radicamento ecclesiale, che la preserva da quelle derive autoreferenziali sempre possibili che contraddicono la comunione.

Grazie alla riflessione teologica e spirituale di san Basilio nel IV secolo (non a caso l’epoca delle grandi controversi cristologiche), anche l’esperienza monastica viene ricondotta a quel fondamentale equilibrio umano e cristiano tra libertà interiore del singolo e comunione nella compagnia degli uomini, compiutamente realizzato nel Cristo, che per amore del Padre e degli uomini versa il suo sangue nell’abbandono estremo della croce. “Nella solitudine assoluta della croce Gesù ha fatto nascere la comunione”.