Conclusions du Colloque

 

Un pensiero teologico che si lasci guidare dallo Spirito è allora chiamato a un’ascesi creativa per superare la contrapposizione sterile e astratta fra tradizionalismo e modernismo, l’uno e l’altro prigionieri dell’autosufficienza di una storia ripiegata su stessa: su un passato idealizzato o un presente che non attende trasfigurazione.
Come discernere nella tradizione dei padri (ma fin dove giunge?) quello che è una ricezione (obbedienza) autentica della Parola di Dio e quello che non lo è più? Il problema ? che era quello di san Basilio di Cesarea ? è stato posto con molta nettezza da diverse angolazioni. Un monachesimo, una chiesa che non attendono più il Signore della storia, hanno perduto il loro sapore. È sempre in agguato allora la tentazione di far coincidere la comunione ecclesiale con l’isolamento autosufficiente, la chiusura settaria che cerca di differenziarsi isolandosi, invece di aprirsi integrando e interpretando la diversità, divenendo stimolo vivo – il “lievito” della parabola evangelica – che annuncia la trasfigurazione delle relazioni umane e dello stesso cosmo.

L’autentica dimensione “ecclesiale” della dinamica tra solitudine e comunione apre invece nell’oggi di Dio l’irruzione della novità escatologica: la comunione definitiva di Dio “tutto in tutti”, che inscrive la comunione al centro del rapporto personale tra l’uomo e Dio. E ciò è tanto più attuale nell’orizzonte postmoderno dell’atomizzazione del soggetto. La nozione cristiana di “persona”, ? sono stati evocati i nomi di Berdjaev e Bulgakov, ma anche di Zizioulas e Yannaras ?, costituisce il punto di incontro e il superamento della contrapposizione potenzialmente distruttiva tra le spinte antagoniste del soggetto e l’aspirazione all’uno della collettività.
Che cos’è dunque la persona? Uno stupore che è riconoscenza, una meraviglia che si affida. È una libertà che si dona. La libertà profonda ? a volte sconcertante ? che nasce dall’amore e solo dall’amore; la libertà acquistata a caro prezzo da autentici abitatori del deserto contemporaneo, quali padre Cleopa di Sihastria, “uomo per gli altri”, o padre Porfyrios di Kafsokalyvia. Nella loro lotta solitaria contro il male ? morale, fisico, spirituale ? la profondità dell’amore di Cristo abbraccia la solitudine e la disperazione di ogni uomo. È l’energia della speranza che splende anche nell’inferno dell’isolamento e della lontananza da Dio – come hanno mostrato santi quali Serafim di Sarov o lo starec Silvano del Monte Athos.

Una lacuna nel percorso tentato quest’anno è forse stata l’assenza di una riflessione nata dall’apporto delle scienze umane su questa tensione molto complessa tra isolamento dell’io e apertura all’intersoggettività; e, parallelamente, di una riflessione puntuale sulle strutture di maturazione ? umana e spirituale ? che consentono di imparare ad abitare la solitudine e a praticare la comunione.

Abbiamo tuttavia potuto ascoltare le voci di monaci e monache d’oriente e d’occidente raccontare il concreto esercizio quotidiano di vivere in comunione e vivere in solitudine: esercizio della ricerca di Dio nel silenzio della cella, discernimento del volto di Dio nell’incontro con il fratello.

La solitudine è un’arte che va appresa, esige quell’apprendistato che l’isolamento evita. Essa è sempre una solitudo pluralis; per questo i padri chiedevano che solo dopo una lunga iniziazione alla vita comune si intraprendesse l’arduo cammino della vita solitaria, in cui ? abbiamo sentito l’espressione di san Serafim di Sarov ? il monaco lotta contro leoni e tigri.

Il silenzio e la contemplazione fanno spazio alla vita della Parola nella comunione dei fratelli, nell’ascolto dell’altro. Si scopre allora che la solitudine è un’arte agapica, amica e maestra sulla via dell’amore. Un amore da vivere concretamente, quotidianamente ? come orizzonte cui tendere, all’interno della fraternità monastica, ma anche e soprattutto all’interno della chiesa e tra la chiese, e per l’insieme della comunità umana. La solitudine è la profondità della vita comune, la comunione è il frutto della purificazione interiore, ma il fine è sempre l’agape.

ADALBERTO MAINARDI
monaco di Bose
a nome del comitato scientifico del Convegno

XVIIIe Colloque œcuménique international
de spiritualité orthodoxe