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Discours d'accueil du patriarche Bartholomée Ier

 

Ricordiamo con gratitudine le Sue venute a Bose quale metropolita di Filadelfia e poi di Calcedonia, ormai molti anni fa, ma il nostro ricordo va oggi innanzitutto alla Sua prima visita da patriarca che Lei volle farci, e alle parole che in quell’occasione ci rivolse sul ruolo del monachesimo nel cammino dell’unità delle Chiese, parole che in questi anni abbiamo cercato di custodire come un prezioso insegnamento. «Due sono i mezzi – Lei diceva – che solitamente adoperiamo per ristabilire l’unità: la preghiera e il dialogo. Per rivivere insieme la Pentecoste, dialoghiamo e preghiamo… Se il dialogo teologico procede con l’intelletto, la preghiera monastica si fa con il cuore … Dialogo e preghiera sono due gambe ugualmente necessarie per camminare verso l’unità … Non sappiamo immaginare se potrà mai diventare raggiungibile o comprensibile l’opera dell’unità senza la presenza attiva di monaci che vivano fortemente il desiderio di Cristo che vi sia un solo gregge sotto di lui, il pastore dei pastori».
Sedici anni sono passati da quel giorno, ma le Sue parole trovano ancora un’eco viva nel nostro cuore. In questo tempo abbiamo continuato a seguire le Sue molteplici attività, i Suoi viaggi apostolici, i Suoi discorsi e i Suoi messaggi, abbiamo letto i numerosi libri da Lei pubblicati (alcuni dei quali abbiamo pubblicato presso le nostre edizioni, tra cui l’ultimo, Entrare nel mistero, con una Sua prefazione alla nostra edizione italiana, una illuminata introduzione al cristianesimo e all’ortodossia), abbiamo cercato di tenere viva questa comunione di amicizia con Lei attraverso la corrispondenza epistolare, siamo venuti a visitarLa presso la Sua sede patriarcale a Costantinopoli, abbiamo ricevuto anche da Lei altre visite, qui a Bose nel 2003, e poi recentemente anche a san Masseo, la nostra fraternità ad Assisi, nel 2011; i nostri convegni ecumenici internazionali di liturgia e di spiritualità ortodossa hanno sempre potuto contare sulla Sua benedizione, sull’invio di qualche Suo rappresentante e del Suo messaggio paterno; e poi tante altre sono state le occasioni di incontro – a Roma quante volte ultimamente, ma anche a Costantinopoli – in cui abbiamo potuto confermarle i nostri sentimenti di stima e di affetto nel Signore.

La ringrazio davvero di aver sempre sostenuto e incoraggiato con amicizia sincera e fedele la nostra comunità… Mi sia consentito dire che, in qualche maniera, siamo diventati anziani insieme… e Le sono grato per le fin troppo buone parole che ha voluto indirizzarmi in questi ultimi mesi, al compimento dei miei 70 anni. Sì, abbiamo in qualche modo camminato insieme, o meglio, il Suo cammino spirituale ci è stato di esempio, fino a quest’ultima Pasqua che Lei ha voluto celebrare nella piccolezza e nell’umiltà della Sua isola natale di Imvros, per testimoniare che il Signore ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i potenti (cf. 1Cor 1,27) e che proprio in questo la luce pasquale irradia in tutta la sua forza misteriosa. «Portiamo il peso della croce del Signore e della nostra croce, nell’attesa della resurrezione. Croce e resurrezione sono molto vicine!». Sono le Sue parole in questo venerdì santo nella chiesa di santa Barbara in Evlàmpio, nell’isola martire di Imvros. «Non c’è resurrezione senza crocifissione», ci diceva già papa Efrém di Katunàkia, Suo confessore. In questi 22 anni del Suo ministero patriarcale di umile animazione dell’unità e di servizio sacrificale nella fedeltà e nella perseveranza l’abbiamo vista divenire progressivamente kalògheros, ricco di sapienza e di makrothymìa, e così ci siamo permessi di iscrivere sulla parete principale dell’ospitalità (il nostro muro della consolazione!) anche il Suo nome tra i nomi di coloro che chiamiamo e sentiamo pnevmatòfori, portatori dello Spirito in mezzo a noi! Grazie Santità, perché in Lei la nostra comunità ha sentito amicizia fedele, consolazione e sostegno sempre!