Conférence de Iosif Bosch, évêque de Patara

 

La Chiesa come creatura Trinitatis

 

L’Eros/Agape divino ha voluto che gli uomini -e tutto il creato- fossero coinvolti nella salvezza che, di per sé, è una evoluzione della meta primordiale di Dio: che tutti gli uomini, cioè, siano immagini viventi della comunione del Dio trinitario, e vengano configurati nella vita del Dio comunionale.

Questa comunione, voluta fin dall’inizio e ora proposta in maniera innovativa e definitiva per l’azione del Dio Uno e Trino, è la Chiesa. In essa comincia a compiersi la promessa di Cristo riguardo al regno di Dio: la communio universale. In questo modo, la Chiesa è l’immagine più evidente della Trinità nel campo creazionale.

Secondo Tertulliano, la chiesa è il livello operativo e il farsi corpo della Trinità poiché dovunque siano i tre -il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo-, vi è anche la chiesa, che è il corpo dei tre.

La Chiesa può essere interpretata come imago Trinitatis, in quanto è il  popolo di Dio, l’ambiente naturale dell’azione trinitaria di fronte alla sua controparte creata; l’atmosfera legittima in cui tutto il creato riflette la sua controparte increata -Dio- e si assume come parte di un tutto, all’interno di una diversità che garantisce alterità e identità; e, infine, lo spazio di incontro reciproco tra i due heterusii: commumio-κοινων?α: unità comune, κοιν? ?νωσις. Ma quella zona, quello spazio, quella atmosfera viene superata dai medesimi protagonisti dell’incontro, in quanto essi sono lo spazio; essi stessi diventano la zona dell’incontro, giacchè insieme sono la chiesa.

Quell’alterità primordiale, il “no” ontologico, l’essere “di fronte” all’altro, in  nessun modo -come abbiamo già detto- riferisce negatività; al contrario, è l’origine e la premessa della comunione; infatti, la distanza viene invertita e “annullata” -superata-  diventando così unità; mentre il “no” originario diventa un “”, l’essere “di “fronte” diventa un essere “insieme”; tutta l’ontologia, la natura, è superata e trascesa -mai soppressa o pervertita- dall’Eros/Agape .

Origine della Gerarchia

Ecco l’origine e il contesto in cui si deve comprendere e interpretare la Gerarchia: la Tearchia che crea, sostiene e perfeziona l’universo, attraverso, in e per il suo divino Eros-Agape. Precede la Tearchia Sovra-sostanziale e segue naturalmente la Divina Economia o Provvidenza, la sua naturale azione e anche il luogo, lo spazio e il clima in cui si vive e si sviluppa il-non-essere-come-essa-è: il vuoto di Dio, che è riempito con l’ “altro”, colui che riempie il vuoto con quella naturale tensione e attrazione verso la Deità. La tensione e l’ardente desiderio vincono l’assenza, poiché essi stessi sono presenza in potenza -δυν?μει- di Colui-che-è assolutamente in colui che è essendo.

La Tearchia è la ragione d’essere della Gerarchia, che secondo il divino Dionigi ha come fine commune amare costantemente Dio e suoi sacri misteri: ancora una volta l’Agape-Eros, che Egli effonde, e nella libera unione con Lui perfeziona “l’altro-creato”. Quell’amore che è in-fuso ed ef-fuso naturalmente nella creazione -e soprattutto negli esseri razionali- consiste nel conoscere gli esseri così come sono; nel contemplare, comprendere e custodire la Sacra Verità che ci è stata rivelata; nel partecipare il più possibile attraverso l’unione deificante con Colui che è l’unità stessa: la Gerarchia, infine, è la gioia della visione sacra che alimenta la comprensione, riempie lo spirito e divinizza tutti coloro che giungono fino a lì. Di conseguenza la Gerarchia, che è il fondamento della Chiesa, è un dono, un carisma, che garantisce la deificazione e la perfezione di tutto l’essere intelligibile.

Ex parte Dei, la Gerarchia -e la Chiesa- non sono necessarie; ex parte hominis, tuttavia lo sono, in quanto si costituiscono fonte di salvezza; in una delle espressioni più radicali e sovversive della bontà divina, dell’azione divina sul creato, della divina economia, che rende superfluo il necessario, e il superfluo imperioso, per amore: e qui il concetto chiave è quello di “partecipazione”. Dio si partecipa, si dona, lascia il posto all’altro cosicchè egli, assumendo quel che non è per natura, lo diventi per grazia. Ancora una volta il Dio che “si ritira” e che “fa spazio all’altro” cosicché egli prenda il suo posto, e “partecipi” e “faccia partecipare” agli altri in quello che è germe di deificazione.