Credo nello Spirito Santo - Raniero Cantalamessa


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Leggi tutto: Credo nello Spirito Santo - Raniero CantalamessaIl priore di Bose, fratel Enzo Bianchi, ha introdotto il confronto di questa giornata mettendo in luce il carisma della predicazione di padre Raniero Cantalamessa, che più di trent’anni fa lasciò la carriera universitaria per dedicarsi all’annuncio della Parola di Dio. La mattina è stata dedicata al racconto della pentecoste, con particolare attenzione al versetto degli Atti che padre Raniero ritiene più significativo per questo tema: “Tutti furono pieni di Spirito santo”.

La venuta dello Spirito sugli apostoli non è qualcosa di tangibile o di visibile secondo i sensi umani, tuttavia è riconoscibile per gli effetti che lascia: dopo l’evento, gli apostoli sono privi del timore che prima li attanagliava, smettono di litigare fra loro, escono per narrare ad altri la buona notizia della resurrezione di Cristo. Nel pomeriggio è seguita l’analisi dell’articolo del Credo che riguarda lo Spirito santo. Un’analisi semplice, che ha coniugato nozioni storico-teologiche con un linguaggio divulgativo e uno stile pastorale, sempre attento a tradurre la teoria in spunti di riflessione pratica.

Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi

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Dopo il sinodo sulla famiglia - Enzo Bianchi, Basilio Petrà


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Leggi tutto: Dopo il sinodo sulla famiglia - Enzo Bianchi, Basilio PetràLa giornata dedicata alla riflessione sul sinodo appena concluso, si è aperta con il saluto del priore di Bose, fratel Enzo Bianchi, che ha detto: “Crediamo che nella chiesa ci sono vocazioni diverse, debitrici le une delle altre, per questo noi monaci ospitiamo un confronto sul tema della famiglia”. Quindi ha lasciato la parola a don Basilio Petrà, che ha messo in luce la libertà di parola e la varietà delle posizioni emerse durante i lavori sinodali. In continuità con il Concilio Vaticano II, il sinodo ha letto il matrimonio umano secondo una visione cristocentrica: solo fissando lo sguardo su Cristo, sul suo insegnamento, si comprendono in verità i rapporti umani.

Durante il pomeriggio è stato possibile un confronto a più voci: Basilio Petrà e Enzo Bianchi hanno risposto alle domande poste dai presenti. Una questione verteva su quale spazio sia stato riservato durante il sinodo alla teoria del gender e a chi vive relazioni di omoaffettività (Questo il termine usato da chi ha posto la domanda). La risposta è stata che questo tema si è trattato in maniera estremamente pacata, accogliendo la consapevolezza che la sessualità non è solo natura, ma anche cultura. Al termine del confronto, fratel Enzo ha ricordato che la famiglia è una realtà sempre da evangelizzare e non, come si sente dire di frequente, una realtà che reca già in sé la buona notizia del vangelo di Cristo.

Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi

La Famiglia - Silvia Vegetti Finzi


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Leggi tutto: La Famiglia - Silvia Vegetti FinziPsicologa clinica, psicoterapeuta dell’età evolutiva e della famiglia, scrittrice e giornalista, già professoressa di Psicologia Dinamica presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pavia. Attiva nel Movimento delle donne, è stata membro dell’Istituto Nazionale di Studi per l’infanzia e l’adolescenza, del Comitato Nazionale di Bioetica e del Consiglio Superiore della Sanità. Nel 1989 ha ricevuto i premi nazionali per la Psicoanalisi e la Bioetica. Collabora regolarmente con il Corriere della Sera, il Blog di “Io donna” Psiche lei,il mensile Insieme e la rivista svizzera Azione.

Senza la mobilitazione morale del desiderio di chi intende diventare padre e madre, nessuna legge sarà mai in grado di mettere ordine nella vita sequestrata ai corpi e ai destini. In questo senso la maternità, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, rappresenta nella sua forma ideale un paradigma esemplare: ci mostra infatti che è possibile limitare l'onnipotenza inconscia, porre freno all'egoismo proprietario dell'io e del mio. Inizialmente la madre ha un possesso assoluto del figlio. Da lei dipende non solo il corpo ma anche la mente del bambino. Il suo dominio non conosce eguali perchè, contrariamente allo schiavo di fronte al padrone, al servo dinnanzi al signore , al prigioniero alla mercè del suo aguzzino, il neonato non può neppure pensarsi separato dalla madre.
Eppure la simbiosi originaria progressivamente si schiude al riconoscimento che il figlio è un altro, diverso da come lei l'aveva sognato e cresciuto. La maternità, che tendiamo a considerare solo come una forma di possesso, si apre invece, anche grazie alla funzione socializzante del padre, all'accettazione dell' autonomia e dell'indipendenza del figlio, all'ammissione che la vita che gli è stata data non appartiene a chi lo ha generato.

Con la modernità la dimensione della maternità ha assunto confini sempre più individualistici e privatisti. Ormai l'essere madre, generare un figlio non è più un fatto collettivo ma un'incombenza che grava quasi esclusivamente sul nucleo famigliare ristretto o spesso solo la donna. Spesso si sente dire che la gravidanza ormai passa “come niente fosse”, come fosse un tempo che non ha per la futura madre, niente di diverso dagli altri; continua il lavoro e le altre attività, ma questo non permette di preparare il grembo “psichico”, ma solo quello fisico. Il figlio è l'ospite che è sempre altro da quello che si è immaginato e per questo ogni figlio va adottato, tutti siamo figli adottivi, e tutti tramite questa adozione abbiamo ereditato la certezza di essere unici e non ripetibili. Ci vuole disponibilità per accogliere un figlio, e fare passare la gravidanza sotto silenzio non è il mondo migliore per prepararsi ad avere un figlio. Non siamo solo soggetti sociali e produttivi ma anche soggetti psicologici. La maternità ha inoltre bisogno di silenzio, l'accoglienza e la disponibilità si preparano nel silenzio, nella riflessione e nella concentrazione. Come dice Simone Weil: “Abbiamo bisogno di attenzione, l'attenzione è il dono più grande che ci possa essere dato”.

Silvia Vegetti Finzi propone un excursus attraverso l'efficacia dei simboli per riscoprire ciò che abbiamo perso: quelle dimensioni che abbiamo dimenticato e che sono da sempre, prima del tempo, quelle forze telluriche che permettono di uscire dalla logica stretta del calcolo e degli interessi egoistici e che aprono e permettono la vita e la generazione. E' necessario riprendere il giusto contatto con la natura con i suoi ritmi e le sue stagioni, oggi si pensa che sia qualche cosa che non ci riguarda e che quindi possiamo sfruttare per i nostri interessi. Per questo bisogna riflettere sul rapporto dell'umanità con il limite che ormai sembra non esserci più: a quale punto ci fermeremo? Questa mancanza del limite ci angoscia ma non sappiamo gestirla. La filiazione dovrebbe essere sottratta al calcolo delle convenienze e alle ingerenze della tecnica. Il desiderio di un figlio viene da lontano e non è certo governato dall'interesse. C'è una spinta che non è solo individuale e viene da lontano. Ci vogliono tre volontà: quella della madre, quella del padre e quella del bambino che vuole venire al mondo. E' un compito che la coppia esegue. Bisogna saper vivere nell'ordine dell'obbedienza non solo quello del calcolo. Quello che conta non si conta.

 

Sintesi della giornata di Sofia Bianchi

I volti della madre - Massimo Recalcati


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Leggi tutto: I volti della madre - Massimo RecalcatiVive e lavora come psicoanalista a Milano. Ha discusso la sua tesi di laurea in Filosofia, dal titolo "Desir d'être e Todestrieb. Ipotesi per un confronto tra Sartre e Freud", con il prof. Franco Fergnani nel Luglio 1985. Nel 1989 si è specializzato presso la scuola di Psicologia di Milano diretta da Marcello Cesabianchi. Ha discusso la sua tesi di specializzazione in Psicologia, dal titolo "Analisi terminabile ed interminabile. Note sul transfert", con il prof. Enzo Funari. Ha svolto la sua formazione analitica a Milano con Carlo Viganò e a Parigi con Jacques-Alain Miller ed Eric Laurent tra il 1988 e il 2008.

L'’ideologia patriarcale che oggi sta esalando i suoi ultimi respiri, voleva ridurre l’'essere della donna a quello della madre. Era solo la figura della madre a sancire una versione benefica, positiva, salutare, generativa della femminilità. La donna, invece, separata dalla funzione materna, si prestava ad incarnare i fantasmi più maligni: cattiveria, peccaminosità, lussuria, inaffidabilità, stregoneria, crudeltà. Mentre la donna realizzata nella madre riusciva a emendare gli aspetti inquietanti della femminilità, la donna che rifiutava l'identificazione con la sola maternità portava con sé lo stigma di una anarchia pericolosa e antisociale che doveva essere redenta con gli strumenti della morale pedagogica o della psichiatria. Questa versione della femminilità (madre uguale bene, donna uguale male) è stata giustamente criticata e superata.

La madre è il primo volto nel quale ci riconosciamo e la prima voce che risponde al grido della vita.

Massimo Recalcati offre una panoramica di luci e ombre sul complesso mestiere di essere madre. La figura materna che attende, che cresce in sé il figlio, colei che gli dona la vita è anche colei che lo dona alla vita. Dunque non lo tiene per sé, non ne fa una sua proprietà ma subito lo riconosce come altro e per farlo vivere impara a perderlo. La madre inoltre è colei che nutre il figlio, il quale però oltre al nutrimento vuole essere riconosciuto, amato e desiderato, altrimenti, se manca questo, rifiuterà anche il nutrimento. Il figlio, che dal padre riceve l’equilibrio tra legge e desiderio, e impara il senso del limite, chiede alla madre di essere amato di un amore particolareggiato; la madre dunque è colei che soccorre e che presta attenzione al particolare, all’unicum del figlio. Ama il reale di suo figlio e non l’ideale. Le derive antitetiche a cui la maternità può giungere sono da un lato la rinuncia alla femminilità e all’essere donna della madre e dall’altro la rinuncia ad essere madre fino in fondo della donna. Nel primo caso il figlio non sperimenta l’assenza della madre, e dunque viene soffocato dalla sua estenuante presenza, nel secondo caso invece il figlio si sente non desiderato e non amato ma anzi d’inciampo nella vita e nella carriera della madre. Dunque la maternità si esprime nel dare cure particolari, diversificate a ciascuno dei figli, senza però trattenerli, ma lasciandoli liberi, si tratta di accettare e desiderare il figlio ma di guardarlo subito come altro e di “un altro”.

Sintesi della giornata di Sofia Bianchi

I divorziati - Basilio Petrà


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Leggi tutto: I divorziati - Basilio Petrà
Nato ad Arezzo nel 1946 da genitori greci, è presbitero cattolico della diocesi di Prato. Laureato in filosofia (Università di Firenze, 1971), dottore in teologia morale (Accademia Alfonsiana, Roma, 1981).Ha trascorso un anno di studi (1976/1977) presso la Holy Cross School of (Greek Orthodox) Theology (Brookline, Boston, USA) con scholarship della allora Greek Orthodox Archdiocese of North and South America, ed un semestre (1977-1978) presso la Facoltà di teologia dell'Università di Tessalonica (Grecia). E' professore stabile ordinario di teologia morale fondamentale e di morale familiare presso la Facoltà Teologica dell'Italia Centrale con sede a Firenze, ove insegna dal 1981; dal 1979 è pure docente invitato di teologia morale patristica greca presso l'Accademia Alfonsiana (Roma). Dal 1992 tiene corsi di morale ortodossa presso il Pontificio Istituto Orientale (Roma) ove è attualmente professore invitato associato. Dal 1994 al 2007 è stato consultore della Pontificia Congregazione per le Chiese Orientali Cattoliche. Dal 2001 è professore invitato presso l'Istituto Ecumenico San Nicola di Bari. Dal 2003 è membro del Board of Governors dell'Intams (International Academy for Marital Spirituality-Bruxelles). Professore invitato presso l'Università Urbaniana dal 2004-2005.

Consigliere di redazione di varie riviste teologiche (Rivista di teologia morale, Rivista liturgica [fino al 2008], Rivista di ascetica e mistica, Ephrem's Theological Journal, Intams Review, Asian Horizons), ha tradotto saggi e volumi dei teologi ortodossi Ch.Yannaras, G.Mantzaridis, S.S.Harakas, I. Zizioulas, A.Yannoulatos.

"L’accoglienza dei divorziati risposati è una delle più grandi sfide pastorali odierne. Essa esige da parte della chiesa l’attivazione di tutte le sue risorse in modo da riuscire ad essere segno della divina misericordia e a mostrare un volto di madre, il suo vero volto. L’incontro sarà dedicato a mettere in luce i vari aspetti del problema: biblici, storici, canonici, teologici, pastorali; sarà presa in considerazione la prassi di altre chiese e saranno presentate e discusse le varie proposte attualmente presenti in ambito cattolico".

Dall’inizio del pontificato di papa Francesco e in maniera particolare dalla relazione finale del sinodo straordinario sui temi della famiglia emerge sempre più con insistenza la necessità di riflettere a fondo sulla presenza sempre più numerosa di famiglie con situazioni particolari di sofferenza, di divisioni e di fallimenti matrimoniali alle spalle, che chiedono aiuto e accoglienza nella Chiesa. Il professore Basilio Petrà, presidente dell’associazione teologica italiana per lo studio della morale, ha cercato di ripercorre tutte le tappe storiche del dibattito e della legislazione della chiesa in merito soprattutto all’accoglienza dei divorziati risposati, cercando di individuarne i criteri ispiratori e di mettere in luce possibili “vuoti legislativi”. Il sinodo straordinario e le votazioni che sono avvenute a maggioranza su ogni punto della relazione, mostrano che la Chiesa necessita di tutte le sue risorse intellettuali, pastorali e spirituali per affrontare il problema. La nostra tradizione, ha osservato il professor Petrà, contiene in sé gli elementi su cui si può lavorare per venire incontro a situazioni sempre più numerose, che non sono semplicemente casi di studio, ma persone segnate da fallimenti che cercano anche nella chiesa un luogo in cui sentirsi accolte e ricominciare.

Sintesi della giornata di Sofia Bianchi

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Quale Dio? - Massimo Cacciari


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Leggi tutto: Quale Dio? - Massimo CacciariQuale Dio? Sempre più questa domanda risuona oggi nel dialogo tra le religioni, o di fronte all'esperienza del male.

Nel confronto tenuto a Bose domenica 21 giugno, Massimo Cacciari ha mostrato come questo interrogativo sia intrinsecamente legato alla tradizione occidentale, che Massimo Cacciari ha percorso riandando a Platone e Aristotele, attraversando il medioevo, Spinoza, Lutero, Hegel e toccando anche il confronto con l’islam. Quella occidentale è una tradizione che vive di una polemica profonda su Dio e che ne ha concepito immagini contrastanti.

Nella grecità classica affondano le radici di una tensione che permane nei secoli: da una parte Platone, che pensa il divino come l’Uno che sta al di là delle sue manifestazioni sensibili , separato e altro dal mondo. Dall’altra parte Aristotele e il suo concepire Dio come quell’ente sommo che, dal vertice del cosmo, spiega la dinamica insita al divenire di tutti gli altri enti.

Queste due vie aperte nell’antichità e insolute nella loro reciprocità, permeano anche il medioevo, impegnato a spiegare l’esperienza di un Dio esistente e rivelato, ma insieme altro dall’esistente, nascosto e velato: sistole e diastole dell’esperienza religiosa.

Il paradosso dell’incarnazione ripropone questo dialogo e le sue sottili conseguenze: è tutto Dio che prende carne e che diventa compiutamente dispiegato alla comprensione umana, o l’immagine rivelata nel Figlio rimanda ad un’immagine che è mistero eccedente e trinitario?

Quale Dio dunque? La domanda rimane aperta, dischiusa alla ricerca dell’uomo che rischia la parola su Dio.

Sintesi della giornata di Francesca Simeoni

Perchè la riforma? - Paolo Ricca


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Leggi tutto: Perchè la riforma? - Paolo RiccaPastore a Forano Sabino (Rieti) dal 1962 al 1966 e a Torino dal 1966 al 1976.
Titolare della cattedra di Storia della Chiesa presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma dal 1976 al 2002.
Giornalista per l'Alleanza Riformata Mondiale presso il Concilio Vaticano II.
E' succeduto al Prof. Valdo Vinay nella Commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico delle Chiese fino all'Assemblea generale di Canberra.
Negli anni di insegnamento presso la Facoltà Valdese di Teologia ha coperto più volte l'incarico di decano.
Professore ospite presso il Pontificio Ateneo Sant'Anselmo di Roma.
E' stato Presidente della Società Biblica in Italia per due mandati.
Collabora regolarmente al Segretariato Attività Ecumeniche di cui è insieme a Don Giovanni Cereti, il coordinatore del Gruppo Teologico.
Curatore della collana "Opere Scelte" di Lutero edita dalla casa editrice Claudiana.
Collabora al programma "Uomini e profeti" a cura di Gabriella Caramore per RAI RADIO TRE.

Il vasto movimento di rinnovamento della fede e della pietà nella Chiesa cristiana d’Occidente, sorto intorno agli anni Venti del 16° secolo e poi chiamato dagli storici Riforma protestante, nacque in Germania per opera del monaco agostiniano Martin Lutero. Si diffuse poi in tutta Europa anche grazie all’opera di altri riformatori, come lo svizzero Zwingli e il francese Calvino. La Riforma è stata qualcosa di più e di diverso da una semplice ‘riforma’, ed è diventata un modo nuovo (e al tempo stesso antico) di essere cristiani.

Le cause o ragioni di un fenomeno complesso come la Riforma sono molteplici. Era presente senza dubbio una ragione morale: la vita del clero, comprese le alte gerarchie ecclesiastiche, era in alcuni casi tutt’altro che cristiana, e da tempo si invocava da più parti un’energica riforma dei costumi. Ci furono ragioni economiche: una fu il desiderio legittimo di liberarsi di un regime fiscale particolarmente esoso che convogliava verso la Chiesa e in particolare verso Roma grandi quantità di denaro; l’altra fu che la Riforma accompagnò la transizione dall’economia feudale a quella precapitalistica. Vi furono ragioni sociali: le classi subalterne (i contadini) e quelle emergenti (artigiani, commercianti e piccoli imprenditori) vissero la Riforma anche come incentivo alla loro emancipazione o alle loro libere iniziative di tipo economico. Vi furono anche ragioni politiche e infine ragioni culturali.
Tutte le ragioni ora elencate devono essere tenute presenti per spiegare e capire la Riforma. Ma la ragione decisiva rimane quella religiosa: la Riforma nacque dalla riscoperta del Vangelo come annuncio della libera grazia di Dio, donata al peccatore senza riguardo ai meriti e senza condizioni. Questo annuncio è il cuore della Bibbia, che venne tradotta nelle lingue volgari e largamente diffusa tra il popolo. La Riforma fu per molti aspetti un grande movimento di alfabetizzazione biblica popolare del cristianesimo occidentale.

LA RIFORMA COME DECISIONE

“Con la Riforma non si scherza” disse Karl Barth in una celebre conferenza dal titolo “La riforma come decisione”. Così Paolo Ricca ci presenta la sua riflessione sulle ragioni e sulla natura di quel passaggio storico e teologico che chiamiamo Riforma protestante. Essa nasce, dice Ricca, in un clima di attesa e di ripensamento sui temi fondamentali della fede e dell'uomo. Sorge da una domanda precisa: qual è il vero messaggio cristiano? Questo interrogarsi ha portato Lutero a sviscerare alcuni temi centrali della vita di fede, e in particolare il tema della giustificazione per grazia mediante la fede. Al centro c'è la riflessione radicale sul problema della penitenza, della vera penitenza, come atto fondante dell'ingresso nel cristianesimo.

All'inizio non voleva essere altro che riforma, ma poi, più la riflessione proseguiva più divenne qualcos'altro: divenne contestazione a ciò che oggi chiamiamo la Chiesa costantiniana reduce ancora dallo strettissimo sodalizio con il potere politico, perfettamente integrata con il sistema, e soprattutto fu – dice Barth – una vera e propria rifondazione della Chiesa. La Riforma infatti tentò di ripensare radicalmente il fondamento della chiesa, la quale fino ad allora era fondata unicamente sul papato inteso nella sua accezione più ampia di garanzia di successione apostolica. Lutero e i riformatori tentarono invece di fornire alla chiesa l'unico fondamento realmente stabile: la Scrittura. La Chiesa cattolica non comprese però questo atto di ripensamento radicale come un'opportunità per riformarsi ma anzi condanno questo movimento come eretico.

Per quanto riguarda gli esiti storici e teologici della Riforma, Ricca conclude citando Barth: “Si può senz'altro porre la domanda seria: se i riformatori con la loro rifondazione della chiesa non hanno osato un'impresa che non avrebbero dovuto usare poiché l'umanità europea non era all'altezza di questa impresa ardita e se essi non ci hanno lasciato un eredità di cui non sappiamo cosa fare perché esige da noi una fede che non siamo in grado di offrire e non corrisponde al nostro interesse e al nostro scopo.”

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Il profeta Osea - Gianfranco Ravasi


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Leggi tutto: Il profeta Osea - Gianfranco RavasiEsperto biblista ed ebraista, è stato Prefetto della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana di Milano e docente di Esegesi dell’Antico Testamento alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Il Cardinale Ravasi collabora a giornali - per quindici anni al quotidiano Avvenire e attualmente aL'Osservatore Romano e a Il Sole 24 Ore - e cura trasmissioni televisive, come la rubrica domenicale Le frontiere dello Spirito su Canale 5.

In Osea il volto di Dio è anzitutto quello di uno sposo, di un innamorato. Dio vive tutta la gamma dei sentimenti di un innamorato. C’è un finissimo studio psicologico del profeta trasferito in Dio, un sentimento di amore-odio che prova nei confronti della donna che lo tradisce. Dio sperimenta in sé lo sconvolgimento tragico della persona che si sente tradita: Dio non è indifferente, la sofferenza di Dio è atto d’amore. Dio non dovrebbe soffrire, dato che la sofferenza è segno del limite della creatura. In realtà c’è un dolore, una sofferenza che è pienezza e non imperfezione. Il dolore della madre per il figlio che soffre, il dolore dell’innamorato nei confronti della persona amata, questo dolore di donazione è un aspetto positivo, è un aspetto di generosità, di grandiosità dell’amore di Dio e dell’uomo.

“Toglierò i nomi degli idoli dalla tua bocca.” Così sogna il profeta Osea il ritorno della donna infedele che lo ha abbandonato. Così il Signore si rivolge al suo popolo che gli ha preferito gli idoli, e le divinità straniere, che ha pervertito i suoi costumi e ha dimenticato l'alleanza con Dio. Il cardinal Gianfranco Ravasi presenta il profeta Osea come l'interprete della misericordia di Dio. Il testo presenta infatti un doppio registro in cui viene narrata la vicenda personale di Osea, segnata dall'infedeltà e dal tradimento, e la storia dell'alleanza tra Dio e il suo popolo, anch'essa segnata dall'infedeltà d'Israele verso il suo Dio. Il rapporto tra Dio e il suo popolo è compreso a partire dall'immagine dell'amore nuziale, e il tradimento è dovuto alla prostituzione d'Israele che ha preferito idoli stranieri. Osea mostra di cosa è capace il Dio che ha viscere di misericordia: soffre fino quasi a ripudiare il suo popolo, a detestarlo, fino a dire: “voi non siete più il mio popolo, e io per voi non sono” Il Signore arriva a smentire se stesso di fronte alla delusione che gli provoca Israele, ma subito dopo, non fa che sognare il ritorno dell'amata, è pronto a dimenticare ogni infedeltà pur di ricostruire l'alleanza. “ Ti farò mia sposa per sempre (…) a non-popolo-mio, dirò popolo-mio ed egli mi dirà mio Dio.”

Sintesi della giornata di Sofia Bianchi

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I giovani oggi - Umberto Galimberti


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Leggi tutto: I giovani oggi - Umberto GalimbertiNato a Monza nel 1942, Umberto Galimberti, già professore ordinario all’università Ca’ Foscari di Venezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Dal 1985 è membro ordinario dell’international Association for Analytical Psychology. Dopo aver compiuto studi di filosofia, di antropologia culturale e di psicologia, ha tradotto e curato numerosi testi di Jaspers, di cui è stato allievo durante i suoi soggiorni in Germania.

Umberto Galimberti analizza le radici della paura che provano i giovani di oggi, derivante dall’insicurezza, dal senso di inadeguatezza del vivere e dalla mancanza di aspettative verso il futuro, da quello che Friedrich Nietzsche definì “nichilismo”, vale a dire assenza di uno scopo e rinuncia al perseguimento di un obiettivo; suggerisce come eliminare questa paura e come far fronte alla crisi di oggi, acquisendo consapevolezza di ciò che si è, della propria virtù e delle proprie capacità. Egli propone un modello di cultura che non segue schemi fissi: si tratta di un modello che non “immobilizza”, che induce i giovani a considerare un futuro incerto come un’occasione e non come un limite, permettendo di reinventarsi scongiurando la “monotonia della ripetizione” e di un percorso predefinito.

“Qual è la ragione del tuo malessere?” chiedeva il filosofo argentino Miguel Benasayagai giovani di Parigi che ascoltava e curava, e la risposta era sempre “Non lo so”.

Non è un malessere psicologico, ma culturale dice Umberto Galimberti. La profezia del folle che annuncia la morte di Dio, la perdita di senso e la svalutazione di tutti i valori è rimasta inascoltata per più di un secolo, ma ora siamo costretti a fare i conti con “l'ospite inquietante”, il tempo del nichilismo. Sia la tradizione giudaico-cristiana sia poi la scienza moderna iscrivevano il futuro in un disegno e il tempo in una storia: il passato come male, il presente come redenzione e il futuro come salvezza. Ora invece ci si trova a fare i conti con un futuro che rappresenta una minaccia. la mancata promessa del futuro, è uno dei fattori sociali che determina in maniera radicale il malessere dei giovani.

Ma secondo Galimberti i “disastri” che plasmano e determinano la vita di un giovane avvengono in realtà nei primi tre anni di vita, nei quali si costruisce la sua mappa emotiva sulla base di quelli che sono gli stimoli e gli interventi esterni. Il riconoscimento, il rapporto con l'autorità, il principio di non-contraddizione e di causalità, sono codici fondamentali per imparare a leggere e dare significato al mondo esterno e ai propri stimoli e sentimenti interni. L'identità non è dunque un concetto naturale ma un processo che si fonda sul riconoscimento, il bambino che non viene riconosciuto e ascoltato, a cui non viene data risposta ai suoi “perché”, ma solo gratificato e tenuto buono fatica a sviluppare la sua propria identità e resta “muto” e inconsapevole di fronte al mondo esterno e di fronte a se stesso perché non ha imparato a dare nome alle cose.  

Sintesi della giornata di Sofia Bianchi

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