Guardiamo dentro di noi…
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3 giugno 2024
Lc 15, 11-32 (Lezionario di Bose)
In quel tempo Gesù 11disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». 20Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». 22Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa.
25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». 31Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»».
Tradizionalmente nota come “Parabola del figlio prodigo”, questa straordinaria narrazione esplora i temi del peccato, del pentimento, del perdono e dell’amore incondizionato. Il titolo di “Parabola del padre misericordioso” mette in luce l’amore compassionevole del Padre (cf. v. 20), mentre “Parabola dei due figli” sottolinea il contrasto tra i due fratelli.
Il figlio minore, spinto dal desiderio di indipendenza, incarna il modello del peccatore che, rinunciando alla comunione familiare e abbandonando la via dell’amore, tradisce l’alleanza con Dio per inseguire falsi ideali e piaceri effimeri (cf. Pr 14,14). La sua scelta di partire per un “paese lontano” e dissipare tutto in una vita dissoluta (cf. v. 13) simboleggia l’alienazione spirituale e l’illusione dell’autosufficienza umana, un egoismo che spesso conduce all’autodistruzione (cf. Gc 4,4). Tuttavia, la vera svolta avviene quando il figlio “rientra in sé stesso” (v. 17) dopo aver sperimentato nel baratro una radicale miseria, fino a riconoscere il suo errore con umiltà e decidere di tornare, chiedendo sinceramente perdono (cf. vv. 18-19). Questo segna il pentimento, il desiderio di riconciliazione e il potere trasformativo della conversione (cf. Ez 18,21).
Il figlio maggiore esprime, invece, legalismo, risentimento, invidia pur rimanendo fisicamente vicino al padre in un’apparente fedeltà. La sua protesta contro la festa per il ritorno del fratello pentito (cf. v. 29) rivela un cuore chiuso alla misericordia, incapace di comprendere la logica dell’amore, una rigidità che privilegia la giustizia umana rispetto all’amore divino.
Il padre, con la sua reazione premurosa, incarna l’immagine di Dio che attende ogni peccatore pentito a braccia aperte (cf. Rm 5,8). Non rimprovera né condanna: accoglie il figlio senza riserve. Gli corre incontro, lo abbraccia e fa festa per lui (cf. v. 20), rivestendolo di una dignità nuova (cf. v. 22). Questo gesto di amore e di perdono immediato manifesta la grazia divina, esprime la gioia per il ritorno del figlio perduto, che era morto ed è tornato alla vita (cf. v. 24).
La parabola descrive l’esperienza umana di ricerca, di caduta, e della sempre possibile redenzione e re-incontro con sé stessi e con Dio (cf. Mc 2,17). L’insensatezza della ribellione del figlio minore e la rigidità priva di amore del figlio maggiore, che rifiutano, entrambi, l’accoglienza amorevole del padre, denunciano i pericoli del proprio smarrimento dietro le lusinghe del mondo o di una religiosità formale e priva di compassione (cf. Mt 23,23).
Questa storia, apparentemente semplice, trasmette un messaggio esistenziale profondo e costituisce un faro di speranza e un richiamo alla conversione interiore. Invita ogni credente a meditare sulla propria vita spirituale e mette in guardia contro l’orgoglio legalista che impedisce di comprendere la misericordia divina.
Siamo tutti, in vari momenti, figli prodighi o figli maggiori, sperimentiamo sia la lontananza da Dio, sia la nostra durezza del cuore. La parabola ci esorta a rientrare in noi stessi, a riconoscere le nostre fragilità e le nostre derive, riscoprendo la nostra dignità di figli amati. In un mondo in cui l’individualismo e la ricerca di soddisfazione personale portano spesso a conseguenze negative (cf. 2Tm 3,1-5), questa parabola ci ricorda l’importanza dell’unità, delle relazioni autentiche con il prossimo vissute in pienezza e di una società riconciliata, capace di perdono e di amore, come Dio (cf. Ef 4,32).
sorella Monica