Nel mio nome


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Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)
Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)

15 giugno 2024

Gv 14,12-14

In quel tempo Gesù disse: «12In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. 13E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. 14Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.


La cultura biblica e semitica è nominale: il Nome di qualcuno indica tutta la sua persona. Nell’Antico Testamento il Nome di Dio è impronunciabile per rispetto perché sarebbe come appropriarsi della sua persona che rimane invisibile. Nel Nuovo Testamento, questa persona si fa visibile, e il suo Nome viene pronunciato: Jeshua‘, “il Signore salva”. Anzi, d’ora in poi non possiamo fare a meno di pronunciarlo: “Non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12). 

Quando preghiamo, nel Padre nostro: “Sia santificato il tuo Nome”, intendiamo pronunciare questo Nome, farlo nostro, interiorizzarlo, in particolare attraverso la preghiera di Gesù o preghiera del cuore: “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore”, dove ciò che conta non è tanto l’accusa della nostra indegnità, quanto l’affermazione della sua Presenza che ci perdona e che ci salva.

Questo brano del Vangelo di Giovanni ci insegna che la preghiera cristiana non è altro che una preghiera di domanda, di supplica “nel mio Nome”, nel Nome di Gesù. Due volte in questi tre versetti si ripete: “Ciò che mi chiederete nel mio Nome, io lo farò” (Gv 14,13-14). La stessa cosa viene ribadita in altri due passi dei discorsi di addio, che sono quasi un lascito, un testamento spirituale al quale come cristiani siamo espressamente tenuti. 

Il primo di questi passi situa la preghiera nel Nome di Gesù come la condizione perché la nostra vita sia feconda, perché noi portiamo frutto, e il frutto della vita cristiana è uno solo: la carità. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho posti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga , affinché quello che chiederete al Padre nel mio Nome, io lo dia a voi. Questo io vi comando: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 15,16-17). 

Il secondo passo, invece, associa la preghiera di Gesù alla nostra gioia. La nostra vita diventa feconda, fruttuosa, e quindi anche gioiosa, nella misura in cui si realizza la nostra preghiera nel Nome di Gesù: “Amen, amen io vi dico: se chiederete qualcosa al Padre nel mio Nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio Nome: chiedete e riceverete, affinché la vostra gioia sia piena” (Gv 16,23-24).

In tutti questi passi in cui ci viene raccomandata la preghiera di Gesù, ossia la preghiera fatta nel suo Nome, va sottolineato, anzitutto, che questa preghiera, attraverso il Figlio, è rivolta al Padre: Ad Patrem per Christum (“Per Cristo, con Cristo e in Cristo”). E poi che, facendo questa preghiera nel Nome del Figlio, di fatto noi ci assimiliamo a Gesù stesso: diventiamo noi stessi il Figlio, tant’è vero che egli dice: “Se chiederete qualche cosa nel mio Nome io la farò”. Gesù stesso realizza in noi la preghiera fatta nel suo Nome.

In questo senso, si può ben dire che noi, suoi discepoli, possiamo fare anche delle cose “più grandi” di quelle operate da Gesù nella sua vita, perché è lui stesso a compierle attraverso di noi: “Amen, amen vi dico: chi crede in me farà anche lui le opere che io ho fatto, e ne farà anche di più grandi, perché io vado al Padre” (Gv 14,12). O, meglio ancora, perché fin da ora “io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,11).

fratel Alberto