“Vuoi guarire?”
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15 aprile 2024
Gv 5,1-18 (Lezionario di Bose)
In quel tempo, 1 ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 2A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, 3sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. [ 4] 5Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. 6Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». 7Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». 8Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». 9aE all'istante quell'uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
9bQuel giorno però era un sabato. 10Dissero dunque i Giudei all'uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». 11Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: «Prendi la tua barella e cammina»». 12Gli domandarono allora: «Chi è l'uomo che ti ha detto: «Prendi e cammina»?». 13Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. 14Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». 15Quell'uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. 16Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato. 17Ma Gesù disse loro: «Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco». 18Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
Dopo la purificazione del tempio, dopo aver cacciato fuori tutte le vittime per i sacrifici e coloro che compravano e vendevano, Gesù rientra in Gerusalemme ma non nel tempio: anzi va tra coloro che sono esclusi dal tempio. Va sotto i portici della piscina chiamata “casa della misericordia”, dove giacciono zoppi, ciechi, paralitici, coloro che sono esclusi dall’assemblea santa, ma che con fede ancora sperano e attendono dalla misericordia di Dio una guarigione.
Gesù vede lì un uomo paralizzato disteso sulla sua barella, e sapendo che da molto tempo stava così, e che ancora attendeva invano un aiuto per arrivare nell’acqua prima di ogni altro per essere guarito, gli chiese: “Vuoi guarire?”.
Non ci sembri una domanda insensata: Gesù sa che le nostre malattie, infermità e terrori possono diventare per noi dei rifugi che ci illudono di preservarci dalla responsabilità di noi stessi. Per questo Gesù glielo chiede, perché Gesù vuole agire insieme a noi, d’accordo col nostro desiderio profondo: perché chi ama sa che nessun bene, nessun amore può essere imposto.
Gesù, che è il Signore e il medico dei nostri cuori, prima che dei nostri corpi, interroga anche noi se davvero desideriamo guarire dalle nostre paralisi.
Quest’uomo è miserabile perché non può camminare – e camminare nella bibbia equivale a vivere, secondo la chiamata del Signore in Dt 30,15: “Metto davanti a te la via della vita e la via della morte: scegli dunque la vita”.
Si vede bene che la parola di Gesù: “Sono venuto per i malati e non per i sani” (cf. Mc 2,17) non è arbitraria, cioè si vede che siamo noi che scegliamo di lasciarci, oppure no, avvicinare da Gesù, che non è mai Gesù che ci scarta. Questo pover’uomo malato si fida di Gesù, che gli si rivolge per primo, pur non conoscendolo. Si lascia interpellare, risponde e così guarisce; al contrario, i capi del popolo, non conoscendo il proprio male, lo rifiutano. Anzi lo odiano perché lo temono. E lo accusano, a torto, di violare il sabato: mentre Gesù adempie il sabato ridonando a quell’uomo la pienezza di vita. E sono così ostili verso Gesù da perdere il senso della realtà, da non saper neppure riconoscere il bene di una guarigione così straordinaria, né rallegrarsi con l’uomo guarito. E questo è il loro male.
Ma della triste incapacità di gioire del bene altrui, e anzi di temerlo, tutti noi possiamo soffrire, e a volte neppure ce ne accorgiamo: ma è ciò che rende la vita povera di gioia e di comunione e piena di conflitti. Perché il bene di cui ringraziare il Signore col cuore ricolmo di gioia non è solo il bene che capita alla mia persona o ai miei cari. Ogni bene che accade a chi mi sta attorno è un grande bene anche per me.
La chiesa e ogni discepolo/a è chiamata a riconoscersi in quest’uomo paralitico e, vivendo con gratitudine nella speranza, invocare e testimoniare la potenza di guarigione del Signore Gesù perché sta scritto: “Le misericordie del Signore non sono finite, non è esaurita la sua compassione. Essa si rinnova ogni mattina, perché eterna è la sua fedeltà” (Lam 3,22-23).
Tenendo viva la sete di salvezza dalle nostre paralisi, rallegriamoci per ogni bene del nostro prossimo, e così, grazie al Signore, avremo comunque la vita piena di gioia e persino di miracoli.
sorella Maria