Lettera agli amici - numero 2
Pasqua 1973
Come annunciato nella precedente lettera di Natale, all’alba di Pasqua del 1973 i primi sette membri della comunità – sei fratelli (tra i quali un prete e un pastore) e una sorella – pronunciano con la loro professione monastica il loro «sì» irrevocabile alla chiamata di Cristo davanti alla comunità e alle chiese, un atto con cui promettono solennemente a Dio il celibato e la vita stabile e fedele nella comunità. All’evento partecipano circa 150 persone: amici di Bose, qualche genitore o parente, molti ospiti. Il clima è insieme severo e gioioso: severo per la serietà della decisione, gioioso perché tutto è avvolto dalla luce della Risurrezione. Alla fine della liturgia i preti amici della comunità invocano sui sette lo Spirito Santo imponendo le mani sopra di loro. Ciò che accade evoca la semplicità e l’essenzialità dei primi secoli della vita cristiana e monastica, nel cui solco la comunità consapevolmente si pone. Tutto avviene nella notte di Pasqua, il cuore del cristianesimo e della liturgia della Chiesa. La decisione è quella dei primi discepoli: seguire radicalmente Cristo. «D’ora innanzi Cristo è al di sopra di tutto! – proclama Enzo nell’omelia – E’ questo il senso della nostra professione monastica». I brani della Parola di Dio scelti per la celebrazione fondano e illuminano anche la forma di questa sequela. Il celibato, anzitutto, perché «ci sono uomini che si fanno eunuchi in vista del Regno di Dio» (cfr. Matteo, capitolo 19, versetto 12) e annunciano così a tutti che, conquistati dal Suo amore, val la pena di vivere e morire per Cristo. Contestualmente la vita comune, come nel tempo in cui «i credenti erano un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune» (cfr. Atti degli Apostoli, capitolo 4, versetto 32). Primato di Dio e del suo amore gratuito, sequela di Cristo nel celibato e nella vita comune: il monachesimo dei primi secoli – quello di Pacomio, di Basilio, di Benedetto – è essenzialmente questo, che prima e al di là della sua forma di vita riporta al cuore della scelta cristiana e accomuna il monaco a tutti i suoi fratelli nella fede. «Chi sono infatti i monaci? – chiede Enzo nell’omelia – Semplici cristiani che si impegnano tra gli altri nel celibato e nella vita comune».
Cristo è Risorto, è veramente Risorto!
Questa che celebriamo ora insieme è una severa liturgia nella gioia pasquale del Cristo Risorto! È una liturgia severa perché in essa sette persone pronunciano una decisione che concerne tutta la loro vita! Una decisione che è un’umile risposta alla chiamata di Dio! Siamo uomini che non contiamo su noi stessi! E non potremmo contare su di noi per un atto così impegnativo, un atto in cui promettiamo a Dio il celibato e la vita stabile nella comunità. Noi diamo forma definitiva alla nostra vita con lucidità, scegliamo per sempre il giogo soave e leggero di Cristo con serenità, anche se sentiamo il peso di una tale decisione e la sua importanza per tutta la nostra vita!
E tutto questo si verifica solo in virtù dell'amore gratuito di Dio e di una predilezione che lui ci ha voluto manifestare! Ecco perché ora non possiamo fare altro che pregare, pregare per chiedere che Dio porti a compimento ciò che oggi ha iniziato in noi! E meditare sulla parola di Dio che abbiamo proclamato: la parola che sola può illuminare il senso della nostra professione monastica!
Ci sono uomini “che si fanno eunuchi in vista del Regno di Dio! A pochi è dato di capire questa parola!”.
Farsi eunuchi per il Regno. Sì!, cari fratelli, noi scegliamo in modo stabile la solitudine radicale del celibato. D'ora innanzi Cristo è al di sopra di tutto! È questo il senso della nostra professione monastica. Non contano i genitori, i fratelli, gli amici. È una parola dura che io stesso dico con tremore, ma di fatto è reale ed essenziale per il monaco! Certo ritroveremo tutti, ma nell'amore di Cristo! È così che, non sposandoci, accettando di essere soli fino al punto da non avere un luogo su cui posare il capo, noi annunciamo al mondo che val la pena di vivere e morire per Cristo! È così che annunceremo umilmente al mondo che il mondo passa, che saremo allegri come se non lo fossimo, che saremo tristi come se non lo fossimo; annunceremo che la vera patria è I'eterno regno di Dio…
Questa è la profezia cui noi siamo chiamati! Questa La responsabilità che è data oggi: e guai a noi se dopo aver predicato agli altri dobbiamo poi essere condannati dalle nostre stesse parole! « I credenti erano un cuore solo e un'anima sola »: è la seconda promessa che faremo. Vivere insieme tutta la vita nei buoni e nei cattivi giorni, amandoci a vicenda, sostenendoci, confermandoci nella fede e nella vocazione. La vita è troppo seria per farne materia di esperimenti. Si vive una volta sola!
E chi sa che val la pena vivere per Cristo non teme di unirsi a dei fratelli per una vita comune i cui sentimenti devono essere quelli che furono in Cristo Gesù, dunque sentimenti e atteggiamenti unanimi! Vivendo insieme, accettiamo di essere una cellula del corpo di Cristo, una cellula del suo corpo, corpo di cui lui è il Capo. È qui che sta I'ubbidienza a Cristo! Ubbidienza al suo Vangelo! Cristo si è fatto per noi ubbidiente fino alla morte, alla morte di croce. La nostra obbedienza non è diversa! Ed è obbedienza reale ai fratelli, alla comunità, ai loro carismi particolari. E questo lo promettiamo con lucidità. Accettiamo di ubbidire nonostante sappiamo che potremo essere del parere contrario, salva la fedeltà all'Evangelo! Ma dopo aver sottolineato ciò che noi promettiamo, occorre che diciamo anche il profondo significato di questa professione per noi e per le chiese!
Per noi e la nostra comunità. È la prima professione monastica. Da 7 anni sono qui, da 5 c'è la comunità. È stato un tempo duro in cui non ci è stato permesso di fare i dilettanti! Abbiamo dato origine a una comunità monastica perché Dio ci ha chiamato. E nessuno di noi pensava se ce I'avrebbe fatta o no! Nessuno aveva un piano ... siamo avanzati come Abramo nella solitudine della notte! E Dio porta ora a termine qualcosa, una tappa, della nostra risposta a lui.
Per noi questa professione è la «stabilitas» raggiunta, non I'installazione piena del progetto comunitario. Ecco perché ha tanto significato per la nostra comunità. Dimentichiamo dunque le sofferenze passate, quelle che ci sono venute dalla nostra pesantezza spirituale, quelle venute dalla nostra poca fede. Dimentichiamole. Dimentichiamo le ostilità patite in passato da parte anche delle chiese e le difficoltà subite da amici e ospiti... Lodiamo Dio con un cuore largo. Tutto ci ha aiutato a maturare ... Per questo a nome della comunità ho solo ringraziamenti questa mattina.
Ringraziamento al Cardinale Pellegrino che ci ha seguito con sorveglianza da Pastore, a Cesare Massa che è stato amico silenzioso ma vero, a Marité che ha iniziato con me la comunità ed ha assicurato la possibilità di una vita mista di uomini e donne, perché in Cristo non c'è più maschio e femmina. Siamo una sola cosa con Lui, il Cristo! Un ringraziamento a P. Davide Turoldo, a don Michele Do, al pastore Gay, a P. Eugenio Costa sr., e a voi tutti che siete qui a pregare con noi.
Infine che significato ha questo impegno! La nostra comunità è molto chiara: nel primo millennio delI'unità della chiesa spontaneamente nascevano comunità monastiche, senza approvazioni ufficiali, senza approvazione della regola, senza riconoscimenti speciali. Chi sono infatti i monaci? Semplici cristiani che si impegnano tra gli altri nel celibato e nella vita comune. I nostri impegni dunque vogliono essere fedeli a questa tradizione: impegni manifestati a voi che siete chiesa, a voi sacerdoti e pastori, a voi monaci e religiosi, a voi amici, a voi ospiti. Siamo semplici cristiani come voi! I nostri voti dunque sono manifesti, pubblici, ma non sono voti giuridici per la chiesa. Per essa restano « voti privati» e questo lo vogliamo non per garantirci una libertà o una possibilità di guardare indietro lasciando I'aratro, ma perché vogliamo essere poveri come semplici cristiani.
In comunione con le chiese riconosciamo i loro pastori, e vogliamo essere legati ad esse dal vincolo della pace!
Servi della chiesa, amanti della chiesa, figli della chiesa, ma come tutti i cristiani. Nessun privilegio, nessuna lettera di raccomandazione, solo la comunione. Siamo nella chiesa, al cuore della chiesa, vogliamo che essa ci guardi con tenerezza di madre ma come guarda ogni suo figlio. il monachesimo non si colloca nella linea dell'istituzione ma in quella del carisma, nella libertà dello Spirito che suscita vocazioni diverse per I'edificazione del corpo intero di Cristo. Per le chiese vogliamo essere i figli pronti a vegliare e pregare, le sentinelle che annunciano I'aurora perché testimoniamo con il celibato e la vita fraterna che il sole vero, Gesù Cristo, viene presto per radunare tutti i figli dispersi!
Amici, preti e pastori, siamo al vostro servizio e al vostro servizio ci disponiamo per sempre. Se sbaglieremo riprendeteci, correggeteci, a tempo e fuori tempo.
Amici cristiani, siamo fratelli con voi, vogliamo camminare con voi in obbedienza alle chiese verso I'unico gregge, I’unica chiesa voluta dal Signore! Pregate per noi e insieme a noi affinché il nostro gesto sia fedeltà all'Evangelo ed edificazione delle chiese di Dio!