Lettera agli amici - numero 4

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Pasqua e Pentecoste 1974

La lettera inviata dai fratelli e dalle sorelle di Bose in occasione della Pasqua e della Pentecoste 1974 ha un carattere particolare, quasi unico, nella serie di questi scritti. A partire dalla sua datazione, che oscilla tra Pasqua e Pentecoste: in realtà il suo contenuto lascia chiaramente trasparire che è stesa da Enzo Bianchi a seguito del consiglio tenuto «nei primi giorni di aprile» e più precisamente subito dopo la sospensione “a divinis” del monaco benedettino Giovanni Franzoni, abate della comunità romana di S. Paolo fuori le mura, avvenuta il 27 aprile di quell’anno. Ma la singolarità di questa lettera, che sviluppa la tematica dell’anno santo e la travagliata vicenda dell’abate già accennate a Natale, sta soprattutto nel fatto che come poche altre rivela la fisionomia viva e concreta della comunità di Bose nelle sue relazioni esterne, completando anche per questo aspetto quanto scritto a Natale.

Poiché le richieste di entrare a Bose come novizi vanno rapidamente crescendo, nel capitolo di aprile la comunità sceglie di «rimanere in piccole dimensioni» quale condizione indispensabile per un’autentica vita fraterna e per restare «poveri, piccoli»: c’è un preciso desiderio di fedeltà al Vangelo in questa decisione, che poi si rivelerà provvisoria. Nel medesimo tempo la piccolezza non impedisce ai fratelli e alle sorelle un’altra scelta di frontiera: dopo due anni di operosa presenza in Svizzera, a St-Sulpice, dove prosegue il quotidiano sforzo di essere fermento ecumenico di riconciliazione tra cattolici e protestanti riformati, la comunità si orienta ad aprire un’altra fraternità in Israele, «cuore della Bibbia e del cristianesimo» e insieme «cuore di una divisione e di una guerra che è epifanica del male nel mondo e della divisione del popolo di Dio».

Poi l’attenzione si sposta dalla comunità al «difficile momento ecclesiale e politico» che attraversa l’Italia. E qui la lettera cambia tono, perché «nasce dalla trepidazione e dal dolore», e lo stile diventa appassionato, a tratti veemente, con frequenti citazioni bibliche che assumono la funzione di tagliente criterio di discernimento. La vicenda del benedettino Giovanni Franzoni appare ai fratelli e alle sorelle emblematica di una «involuzione ecclesiale» che contraddice il vento di creatività e di libertà portato da Giovanni XXIII e dal Concilio. Eletto nel marzo 1964 abate della storica basilica romana di San Paolo fuori le mura, partecipa come “padre” alle ultime due sessioni del Concilio. Nel giugno 1973, un mese dopo il primo annuncio dell’anno santo dato da Paolo VI sul tema «Rinnovamento e riconciliazione», pubblica per la sua comunità parrocchiale una lettera che ha subito una grande risonanza, La terra è di Dio, discussa anche a Bose, ma il 12 luglio viene costretto alle dimissioni. Nel frattempo la sua vicenda personale si intreccia con quella più ampia della revisione del concordato tra la S. Sede e lo Stato italiano, resa necessaria dalla legge che il 1° dicembre 1970 introduce l’istituto del divorzio. Il naufragio delle trattative tra la S. Sede, la Conferenza Episcopale Italiana e i due maggiori partiti italiani, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, apre le porte al referendum popolare del 12 e 13 maggio 1974. Nei mesi precedenti la consultazione Chiesa e società italiana si dividono in due fronti aspramente contrapposti, con evidenti risvolti politici: da un lato i vescovi, la DC e i fascisti del Movimento Sociale Italiano, dall’altra tutti gli altri partiti, dai liberali ai comunisti, più una significativa fetta di cattolici «del dissenso», come allora vengono denominati. Tra questi spicca il monaco Giovanni Franzoni, che all’inizio di aprile 1974 pubblica una nuova lettera, Il mio regno non è di questo mondo, nella quale distingue il sacramento del matrimonio, che appartiene alla sfera religiosa, dall’istituto matrimoniale e dal divorzio, che sono regolati da leggi dello Stato, e per questo invoca per tutti i cattolici la libertà di coscienza e di voto, sancita chiaramente dal Concilio su questioni sociali e politiche. La reazione del cardinale vicario della diocesi di Roma è immediata e il 27 aprile giunge la sospensione “a divinis”, cioè il divieto di celebrare i sacramenti. In questo clima Enzo Bianchi stende la seconda parte del testo, interiormente straziato tra il desiderio di non lacerare ulteriormente la comunione ecclesiale e la prioritaria fedeltà alla Parola e al Concilio a fronte dell’involuzione ecclesiale in atto. La lettera, firmata «la comunità di Bose», viene spedita prima del referendum, i cui esiti vedono il 59,3% degli italiani a favore del mantenimento del divorzio e solo il 40,7% schierato per la sua abrogazione.



Cari amici, ospiti, e voi che ci seguite da lontano,

in questo tempo pasquale di gioia per la Resurrezione di Cristo vi indirizziamo questa lettera per tenere desto e reale il legame esistente con voi, per darvi notizie circa la nostra vita e per partecipare a voi ciò che ci pare urgente dire nella presente situazione politica ed ecclesiale.

Nei primi giorni di aprile la comunità ha tenuto il suo consiglio cui erano presenti tutti i fratelli e tutte le sorelle compresi quelli della fraternità svizzera. È stato un consiglio molto importante date le decisioni che ne dovevano scaturire, decisioni riguardanti la fisionomia della comunità e il suo immediato futuro. L'abbiamo preparato con una ricerca profonda nella calma e nel silenzio invernale di Bose e questo ci ha permesso di giungere ad alcune puntualizzazioni con unanimità e chiarezza.

Daniel e Guido ci hanno fatto una relazione delle loro attività a St-Sulpice in Svizzera, dopo quasi due anni di presenza, e abbiamo così potuto constatare ancora una volta le difficolta ma anche gli avanzamenti che la nostra presenza in quella situazione di chiesa ha suscitato in cattolici e protestanti della stessa Val de Travers. Con gioia si constata la presenza quotidiana di alcune persone alla preghiera della fraternità, soprattutto da parte riformata. L'iniziativa poi della preparazione comune fra preti e pastori della predicazione domenicale si e dimostrata positiva ed ora avviene con costante continuità.
Da parte riformata, ancora, grazie soprattutto all' azione di Daniel, si è pervenuti alla celebrazione eucaristica ogni domenica. Sono piccoli avanzamenti ma che danno speranza. L' ascolto da parte dei giovani è sempre scarso restando tuttora difficili non solo il dialogo, ma la possibilità stessa dell'incontro materiale. Tuttavia la testimonianza ecumenica
si fa sentire alla diverse parrocchie.

Veniamo però alle decisioni della comunità: tra le altre ne segnaliamo due: la prima riguarda il nostro futuro ed è una decisione che determina la fisionomia della comunità. Infatti dopo un profondo confronto che ci è stato imposto dalla crescita di questi ultimi anni, la nostra comunità ha confermato unanimamente la sua volontà di rimanere in piccole dimensioni
e di non accrescere il proprio numero al di sopra di quello di una unità sociologica primaria. Questa continua a sembrarci l'indispensabile condizione di una vita fraterna, di una piccolezza di gesti e di iniziative a misura evangelica, contro il pericolo di una istituzionalizzazione massiccia.

Molti di voi avrebbero forse desiderato che la nostra testimonianza si allargasse e diventasse sempre più presente e visibile. Noi abbiamo invece scelto la strada di non crescere indefinitivamente per restare poveri, Piccoli: abbiamo infatti la fiducia che lo Spirito potrà spingere altri sulla stessa strada di vita comunitaria per altre strade differenti dalla nostra.
L' altra decisione è stata presa in vista della fondazione di un'altra fraternità, e abbiamo scelto Israele. Perché Israele? Perché ci pare che raggiungere il cuore della Bibbia e del cristianesimo in questo momento tanto travagliato sia un segno che la nostra comunità ecumenica deve dare anche nei confronti di Israele. Ci collocheremo con una vita di preghiera, di accoglienza e di lavoro nel cuore di una divisione e di una guerra che è epifanica del male nel mondo e della divisione del popolo di Dio. Ci collocheremo dalla parte dei poveri, abitando in mezzo a loro, dando il nostro servizio soprattutto ai palestinesi. Queste le decisioni emerse dal capitolo.
Ma come uomini e come cristiani, ci preme di fare insieme a voi anche una riflessione sul difficile momento ecclesiale e politico che stiamo vivendo.

Mentre scriviamo questa lettera ci giunge la notizia della sospensione "a divinis" del monaco Giovanni Franzoni. Non è dunque questa semplicemente una lettera scritta a tavolino, ma una lettera che nasce dalla trepidazione e dal dolore. Chi avrebbe pensato che dopo quegli anni di creatività e di libertà ecclesiale del primo postconcilio saremmo giunti a questo punto di insabbiamento? Chi avrebbe pensato che dopo quegli anni di vento profetico saremmo ripiombati in questa paralisi ecclesiale in cui ogni segno di vitalità e di libertà evangelica è represso e misconosciuto?

Avevano ragione quelli che dicevano essere la causa di tutto questo fermento, ora giudicato pericoloso, un profeta semplice, proveniente da una componente culturale tradizionalista, ma aperto alle sollecitazioni dello Spirito: papa Giovanni. Ma il profeta è passato, quelli che non lo avevano accolto e che non lo accolgono gli han fatto tombe e monumenti come già facevano i nostri padri verso i profeti (cfr. Mt. 23.29). E quelli che erano stati investiti dallo Spirito nella linea giovannea, oggi sono messi a tacere o tacciono volontariamente perché la situazione è precipitata ed ogni parola rischia di lacerare la chiesa scandalizzando i più piccoli, i cristiani semplici e quotidiani.

Cari amici, noi qui a Bose abbiamo l'impressione che forse presto dovremo anche noi tacere: e non per vigliaccheria o per paura, perché abbiamo dimostrato nel passato di non essere timidi nell'annunciare l'Evangelo, non per stanchezza perché siamo all'inizio di una piccola testimonianza, ma per non lacerare ulteriormente questa chiesa di Dio che noi amiamo. Sappiamo infatti che la verità e la sete di giustizia si imporrà perché l'Evangelo grida forte e non può essere legato in catene. Le figure di Elia e di Geremia ci si presentano oggi di una attualità sconvolgente.

Elia, che quale monaco e uomo politico entra nella vicenda del suo popolo, vi sta in mezzo e fustiga i potenti civili e religiosi proclamando l'assoluta signoria di Dio, ma poi va al deserto perché sa di «non essere migliore di tutti i suoi padri» (I Re 19.4) e tace convinto che quando il profeta tace la verità urla con la forza del silenzio. Se Dio tace vedendo il suo popolo, forse il profeta parlerà? No, egli come Geremia intercederà nel silenzio, ammutolito, e piangerà, per un popolo di Dio infedele e duro di cuore.

Amici, i «giorni sono cattivi» (Ef. 5.16), noi ci eravamo sbagliati di prospettiva in questi anni di riforma e di rinnovamento ecclesiale. Ci siamo sbagliati perché non attenti all'Evangelo. Esso ci dice infatti che man mano che l'Evangelo risuona con più forze ed è vissuto più intensamente allora c'è la "pressura" (cfr. Mt. 24.9), cioè la repressione da parte delle potenze messe al muro e reagenti contro la vita cristiana. Entriamo in un tempo in cui dobbiamo essenzialmente tener deste le qualità della perseveranza e della costanza, nella fede e nella testimonianza a Cristo. Chi infatti ci separerà dal suo amore? Non certo le difficoltà, le intimidazioni, le persecuzioni.(Rom. 8.35). Abbiamo una realtà direttamente constatabile sotto i nostri occhi: ciò che si poteva dire e poteva essere ascoltato qualche anno fa, oggi è ritenuto pericoloso e viene gravemente censurato nella chiesa di Dio.

Il pluralismo delle teologie e delle scelte politiche affermato dal Concilio, oggi è vilipeso un po' dovunque; la comunione e la corresponsabilità sono minacciate ed è proprio con queste minacce che si apre un anno santo che veniva proclamato come un anno di riconciliazione. Chiesa di Dio, dov'è la tua fede che impedisce alla rete di Pietro la possibilità di spezzarsi? Chiesa di Dio, dov'è questo presiedere nell'amore le pecorelle che sono di Gesù e 'che non ti appartengono come proprietà? Chiesa di Dio, perché le pecore robuste sono picchiate, le malate non sono guarite e fasciate, le perdute non sono ricercate con sollecitudine e con gioia? (cfr. Ez. 34.15).
Di fronte a questi ultimi eventi che lacerano la comunione, fra i cristiani, in nome di una loro uniformità di scelte politiche, occorre dire una parola oltre che in nome della libertà di coscienza di ognuno, oltre che in nome di un democratico pluralismo nelle valutazioni politiche, proprio in nome di quell'amore e di quella comunione in cui crediamo e che abbiamo sempre cercato di affermare nella chiesa.
Non possiamo tacere per la certezza di dover « obbedire a Dio piuttosto che agli uomini!» (Atti 5.29). La sospensione "a divinis" di Franzoni e l'aver trasformato un civile confronto sul referendum in guerra di religione che divide la comunità cristiana italiana sono fatti gravi che hanno alte spalle responsabili precisi e ben individuabili. A costoro occorre dire chiaramente che noi non vogliamo essere compartecipi di una linea che non tiene conto né della libertà religiosa, né della carità fraterna, né delta qualità della misericordia, segni indispensabili dei discepoli di Cristo.

Non sempre siamo stati d'accordo con Giovanni Franzoni ma non possiamo non sentire una solidarietà con lui, che semplicemente esercitava un diritto di libertà di espressione su fatti civili e sociali e non su materia di fede. Certamente quelli che vorrebbero un monachesimo relegato al silenzio e alla quiete alienante del chiostro, senza responsabilità di fronte alle schiavitù dell'uomo, quelli che vorrebbero una chiesa istituzione di beneficienza, potente tra i potenti, una chiesa a figura del mondo possono cantare vittoria! Ma non dimentichiamo che la sete e la fame di giustizia prima o poi esplode e si leva con un grido di preghiera e di condanna che giunge a Dio il quale farà « discendere i potenti dai troni per innalzare i poveri e chiamarli beati» (cfr. Luca 1, 52 e 6,21).

E quel che ci fa meditare è che questo provvedimento nei confronti di Giovanni Franzoni e di quelli che intendono rispettare i valori evangelici, sia caduto la vigilia della domenica III di Pasqua in cui la liturgia proclamava il brano dell'apparizione dei discepoli davanti al Sinedrio; noi ci domandiamo: perché non c'è un Gamaliele, possibile, neanche un Gamaliele che rimetta a Dio un giudizio molto difficile da pronunciarsi? Eppure neanche un Gamaliele si è levato. Solo il favore e la solidarietà dei piccoli, di quelli che non contano, accompagna chi è stato colpito (cfr. Atti 5).

Infine non si può fare a meno di constatare come l'involuzione della situazione ecclesiale, in questi ultimi anni corrisponda esattamente all'involuzione in atto nell'attuale situazione politica italiana, smascherando, ancora una volta, lo stretto legame di connivenza fra chiesa e società capitalistica.

Nella società civile e politica italiana ogni giorno si vede crescere un progetto e una trama tendenti a limitare progressivamente ogni libertà democratica. C'è un tentativo delle forze più reazionarie per ricomporre una maggioranza politica in grado di recuperare e sconfiggere le conquiste democratiche pure esigue e caute di questi ultimi anni. I cristiani, qui, come sempre devono ricordarsi che l'unica Signoria da riconoscersi è quella di Cristo e che nessun uomo deve prendere i connotati di salvatore e di "benefattore". Stiamo attenti noi cristiani a non caricarci di responsabilità storiche per aver taciuto, per non aver reagito e peggio ancora per aver aiutato la formazione di una situazione contro l'uomo, contro gli sfruttati e a favore del potere.

Non sembri che questa nostra lettera sia da parte nostra volutamente negativa: la situazione attuale purtroppo e questa e non siamo certo profeti di sventura.
Sappiamo al contrario di non poter dire: «Tutto va bene» mentre nulla va bene! di non poter curare la ferita del popolo di Dio alla leggera dicendo «Pace» mentre la pace non c'è» (Ger. 6,14).
Certamente abbiamo nel cuore la speranza e non ci curviamo di fronte al male che pare prevalere ma la nostra speranza si fonda sulla fede pasquale: la fede nel Cristo vincitore della morte che ci dice « Pace» ma mostrandoci nelle mani, nei piedi e nel petto le ferite della Passione.

la comunità di Bose