Il primato dell’amore di Cristo

Fratelli, sorelle,

la nostra Regola dice:

Non mettere nulla al di sopra dell’amore di Cristo!” (RBo 2).

Risuona qui l’eco delle parole evangeliche sull’amore per Cristo da anteporre all’amore per la madre o il padre (“Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me”: Mt 10,37), e anche del ventunesimo strumento delle buone opere della Regola di Benedetto: “Nulla anteporre all’amore di Cristo” (RB 4,21). Siamo al cuore della radicalità cristiana e anche della vocazione monastica: la centralità di Cristo nella nostra vita. Gesù Cristo come ragion d’essere del nostro vivere.

Questa parola indica una meta, un cammino che ci sta sempre davanti, perché questo primato si deve accompagnare al nostro amare concretamente persone, fratelli, sorelle, di amore vero e concreto, largo e liberante. E deve risuonare come domanda per noi. Ognuno si deve interrogare nel proprio cuore, là dove nessun altro se non il Signore e la nostra coscienza possono entrare. Lo deve fare il novizio, lo deve fare chi si prepara all’impegno definitivo, lo deve fare chi è professo da tanto tempo. L’amore di Cristo per me e il mio amore per Cristo sono ciò che mi guida e sostiene ogni giorno? O almeno voglio che lo siano? Desidero che lo diventino? Vi antepongo altri amori o addirittura, ed è certamente peggio, altri attaccamenti, a cose, lavori, servizi? La verità personale della nostra vita monastica sta dietro a questa domanda. Ma anche l’autenticità della nostra vita comunitaria è legata al primato dell’amore di Cristo. Mi devo infatti anche chiedere: vedo gli altri alla luce dell’amore di Cristo per loro o li vedo alla luce delle mie simpatie e antipatie?

Questa domanda non ci condanna, ma ci consente di riconoscere l’eventuale disordine del nostro cuore e di mettere un ordine nella nostra vita, di discernere le nostre priorità e di non accordare un peso spropositato al proprio lavoro, manuale o intellettuale che sia, o al proprio ruolo in Comunità, o all’attività che ognuno svolge in Comunità, o a presenze e a relazioni particolari, insomma ci riporta alla domanda fondamentale: perché sono qui, in una vita cenobitica e celibataria? Perché e per chi? Sì, anche il lavoro, o lo studio, o il ruolo comunitario, o i servizi stessi che facciamo in Comunità, o presenze affettive particolari, possono assumere un primato nel nostro vivere e allora noi perdiamo l’equilibrio e il giusto ordine delle cose. Assolutizziamo il nostro lavoro? Il nostro servizio? La nostra attività intellettuale o ecclesiale? Una presenza amica? Leghiamo a questo la nostra riuscita umana?

Realisticamente, va detto che questo avviene e può avvenire, ma in quel caso ricordarsi di questa parola evangelica e monastica ci può richiamare a noi stessi, può far risuonare nuovamente in noi la voce che abbiamo udito nella vocazione, può farci far memoria della nostra verità, ci può far rientrare in noi stessi e porci nuovamente sotto la guida del vangelo. Perciò, fratelli, sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e rinnovando il primato dell’amore di Cristo nella nostra vita. E tu, Signore, abbi pietà di noi.