Prolusione di Enzo Bianchi

X Convegno Liturgico Internazionale Bose, 31 maggio - 2 giugno 2012
IDENTITÀ E TRASFORMAZIONE
L'adeguamento liturgico delle chiese
Organizzato dal Monastero di Bose
in collaborazione con Ufficio Nazionale Beni Culturali Ecclesiastici
della Conferenza Episcopale Italiana

ENZO BIANCHI, Priore di BosePROLUSIONE DI ENZO BIANCHI

Bose, 31 maggio 2012

L’adeguamento liturgico delle chiese alla riforma della liturgia voluta dal Concilio Vaticano II è diventato oggi un tema di grande attualità, molto più che nei decenni passati. Infatti, lentamente ma anche in modo esteso, si è compreso che in questa operazione è in gioco l’identità del culto cristiano e che non è possibile che una certa trasformazione degli spazi e dei poli liturgici non tenga conto, oltre che degli opportuni criteri artistici, di alcuni elementi irrinunciabili nella tradizione cristiana e cattolica. L’accendersi di aspre polemiche intorno a queste trasformazioni, d’altronde, mostra la qualità sovente poco comunionale con cui le chiese locali affrontano questi processi di cambiamento, ma anche la debole ricezione della riforma liturgica: così, da un lato si assiste a volte a interventi segnati da sperimentazione e dall’altro a contestazioni ideologiche molto agguerrite, che vorrebbero l’intangibilità delle chiese per affermare la memoria dello «status quo ante».

La Conferenza episcopale italiana ha emanato nel 1996 una nota pastorale su «L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica», testo molto stimolante e ricco di preziose indicazioni affinché, nella fedeltà al Concilio, «l’adeguamento delle chiese non sia considerato un adempimento discrezionale né sia affrontato secondo modalità del tutto soggettive» (n. 1). Va detto però che queste direttive non sempre sono state e sono seguite. In particolare, in questa nota si chiede che l’adeguamento abbia la qualità di un cammino percorso nella comunione tra pastori e fedeli, cammino nutrito da sapienza liturgica, ricerca paziente, dialogo tra gli organi collegiali della chiesa locale, ricerca di soluzioni segnate da un’elevata qualità artistica e anche confronto tra comunità ecclesiale e comunità civile (cf. n. 4).

Dunque, l’adeguamento di una chiesa è innanzitutto un evento ecclesiale, che può rappresentare un’occasione di crescita pastorale e di rinnovamento della comunicazione e della comunione ecclesiale (Mariano Crociata).

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Fatte queste considerazioni introduttive, vorrei ora pormi a voce alta una prima domanda e tentare brevemente una risposta: ci sono dei principi che vanno onorati nell’attuare l’adeguamento liturgico di una chiesa, in particolare di una chiesa cattedrale?

Un’osservazione assolutamente necessaria da fare riguarda la cattedrale come costruzione. Lungo la storia le forme sono state molto diverse e vanno distinte: non solo l’oriente e l’occidente ma anche la Siria e il Nord Africa – e si potrebbe continuare… – rappresentano aree in cui si sono sviluppate forme architettoniche molto diverse. Va riconosciuto che queste forme sono anche dovute alla teologia che le ha abitate e le ha giustificate. L’architettura di una cattedrale non è infatti dovuta solo alla capacità tecnica o all’eredità culturale, ma anche alla teologia, meglio ancora all’ecclesiologia di riferimento.

Per questo in determinate epoche, contrassegnate da una svolta teologica ed ecclesiologica, si sono operate trasformazioni e adeguamenti liturgici che hanno mutato lo spazio e la forma della chiesa. Cammino, questo, che è stato necessario e si è imposto per ragioni ecclesiali, anche se non sempre è stato operato in modo irreprensibile o esente da critiche: critiche formulate contestualmente all’adeguamento o anche espresse più tardi, quando altri canoni artistici o teologici portavano a un giudizio diverso sulle trasformazioni. Certamente nella chiesa cattolica, a differenza di quelle orientali, la tradizione costante è quella della creazione di nuove forme e del ricorso a forme estetiche contemporanee per servire la liturgia: il tutto sempre con l’intenzione di aiutare gli uomini e le donne di un determinato tempo alla lode di Dio e al culto cristiano.

In quest’ottica, la storia è per noi maestra. In occidente nel primo millennio è prevalsa la forma basilicale, ereditata dal mondo romano. Essa esprimeva alcune intuizioni cristiane decisive quali l’orientamento e la distinzione degli spazi. Ma la forma del coro e del santuario, nonché lo spazio dell’ambone, sono stati prospettati in modi diversi, almeno nei primi otto secoli: solo tra il IX e il X secolo altare, ambone e cattedra trovano posto nell’abside o ai suoi bordi.

Nel periodo gotico ecco il frazionamento e anche la chiusura dello spazio liturgico. La creazione dello jubé separa in modo netto l’assemblea (della quale si ha un concetto assai debole!) dal clero, vescovi e canonici, oppure monaci, ai quali spetta lo svolgimento della liturgia. L’assemblea non assiste neppure alla liturgia ma ne percepisce il suono lontano, proveniente da uno spazio altro, celato, mentre sosta nelle cappelle delle navate, dove i fedeli venerano le reliquie o pregano nel luogo riservato alla loro corporazione. E così il mistero è letto come misterioso… Si pensi che nella cattedrale gotica di Strasburgo furono costruiti in quel tempo sessantaquattro altari lungo tutte le navate!
Nel periodo della riforma cattolica seguita al Concilio di Trento l’architettura cattolica conosce un forte cambiamento. Il desiderio del popolo cristiano di «vedere» la celebrazione del mistero trova esaudimento. Il Concilio di Trento chiede che il fedele veda e ascolti la liturgia, che «assista» almeno, e per questo si abbattono muri e jubés, si mutano le vetrate perché la luce penetri sull’assemblea, e così la chiesa prende addirittura la forma di un teatro: scompaiono le navate e la chiesa è un volume unico e grande, non chiuso; appaiono i banchi per i fedeli; la decorazione occupa tutto lo spazio.
Nell’epoca barocca, sempre per «far vedere», ecco l’altare a retable, l’altare con la pala dietro a esso; ecco la mensa, o tavola, ridotta a mensola, mentre il tabernacolo, sempre più ostentato, appare come il punto focale della chiesa e dell’intero apparato decorativo.

Infine, eccoci oggi a un’altra svolta: la necessità di adeguare lo spazio liturgico alla nuova ecclesiologia del Vaticano II – ecclesiologia di comunione, che considera l’assemblea tutta come popolo sacerdotale e soggetto celebrante – e alla riforma liturgica che ne discende. Date queste premesse, occorre pensare lo spazio della chiesa in modo tale da favorire la partecipazione dei fedeli alla liturgia, il che è decisivo per la verità del culto cristiano. In questo senso, credo che oggi, di fronte a ogni adeguamento liturgico, dobbiamo semplicemente porci due ulteriori domande, che vorrei offrire come stimolo al confronto e al dialogo.

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Innanzitutto, è salvaguardata la polarità dell’altare, dell’ambone e della cattedra? Ovvero, questi spazi sono capaci di essere eloquenti e di mostrare, di fare segno che la verità cristiana della santità di Dio e dell’incarnazione del Figlio nel mondo ispira la determinazione dello spazio?

Sono profondamente convinto che l’adeguamento liturgico di una chiesa debba rispettare queste esigenze. L’altare deve essere il centro focale verso cui si dirige tutta l’assemblea, e deve apparire chiaramente la sua qualità di altare del sacrificio della croce, nonché il suo essere la tavola del Signore alla quale sono invitati i suoi discepoli.

L’ambone deve essere e mostrarsi come il pulpito da cui risuona la Parola per tutta l’assemblea, «la tribuna posta in un luogo elevato», secondo il brano biblico che testimonia per la prima volta questo elemento essenziale all’assemblea nata dalla Parola (cf. Ne 8,1-12). Deve significare, semaínein, fare segno al Cristo presente nella sua Parola, «perché è lui che parla quando nella chiesa si leggono le Sante Scritture» (Sacrosantum Concilium 7). Non più dunque lettura verso nord, «in cornu altaris», ma lettura rivolta all’assemblea, la quale deve «vedere la Parola» (cf. Dt 5,24).

Infine la cattedra, pur leggermente elevata, dovrebbe stare là dove può essere letta la presidenza del vescovo, la sua funzione di proestós e, nel contempo, là dove il vescovo si mostra anche come il primo uditore della Parola. In questo senso la posizione tridentina della cattedra, non centrale nell’abside ma laterale e rivolta all’ambone e all’assemblea, appare ancora come la più adeguata.

Dunque, tutto deve essere predisposto affinché l’assemblea si senta convocata dal Signore, stia alla presenza del Signore che viene (ho erchómenos), sia da lui compaginata nel suo corpo, ordinato come lo vuole la tradizione apostolica e cattolica. Nessun invito a un rapporto im-mediato con la Presenza di Dio; al contrario, rispetto all’altare occorre la distanza necessaria per esprimere la santità di Dio. D’altra parte, l’architettura della chiesa non deve neppure favorire la possibilità di leggere un’auto-convocazione dell’assemblea né una sua auto-celebrazione: lo spazio liturgico deve essere aperto verso l’altare, verso l’abside, spazio della Gloria di Dio.

Lo spazio liturgico e le sue polarità sono dunque assolutamente da ordinare secondo le indicazioni della riforma liturgica. Occorre tradurre visibilmente nello spazio i quattro segni maggiori della presenza di Cristo nella liturgia: assemblea, altare, ambone, cattedra (o sede). Questo spazio sarà ispirato dal Vaticano II al punto da poter individuare uno spazio «vaticaniano» che succeda a quello tridentino? – si chiede giustamente Philippe Markiewicz in un intelligente articolo («Les cathédrales en panne de réflexion. Vers une architecture liturgique», in Arts sacrés 17 [2012], pp. 12-17).

La seconda domanda a cui rispondere è la seguente: nell’opera di adeguamento liturgico è salvaguardato l’orientamento escatologico dell’assemblea? Su questo punto credo non ci sia molto da sostare, se non per ricordare che la chiesa deve avere un orientamento, perché l’assemblea in atto è una comunità pellegrinante che attende e invoca la venuta del Signore. Nella liturgia eucaristica tutti sono «conversi ad Dominum», verso l’altare: credo dunque che un elemento decisivo su cui valutare la qualità di un adeguamento liturgico sia la sua capacità di far percepire l’orientamento escatologico dell’assemblea convocata dal Signore.

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A questo punto si aprirebbe un discorso relativo alla qualità artistica, al rapporto tra liturgia e bellezza, ma saranno altri, durante i giorni di questo convegno, a percorrere questi itinerari. A me premeva proporre alla vostra attenzione, in modo sintetico, alcune domande a cui è necessario rispondere nel momento in cui ci si appresta a compiere un’opera di adeguamento liturgico. Ben sapendo che l’adeguamento di una chiesa è un cammino di comunione a servizio dei cristiani, perché il loro incontro con Dio nella liturgia sia aderente alla loro fede e allo spazio in cui questa si esprime. E questo cammino va intrapreso animati da una consapevolezza di fondo, che non dovremmo mai dimenticare: sui problemi architettonici e artistici si può sempre discutere e confrontarsi; questo però va fatto con rispetto reciproco e, se si è cattolici, cercando di non lacerare la chiesa ma di praticare l’ascolto gli uni degli altri.

ENZO BIANCHI