La noia, figura della morte

15 01 27 Mark Rothko

La noia rappresenta una sorta di sospensione del tempo: “Non succede più nulla”; un buco nell’essere: “Le mie giornate sono vuote”. Le giornate di chi si annoia non hanno né sensazioni, né direzione, né significato, in una parola non hanno senso, si trasformano in un uggioso deserto che ben presto diventa odioso. Allora di fornte al vuoto della noia, la strategia più classica è tentare di “ammazzare il tempo”: espressione che fa emergere bene, peraltro, come la noia abbia un qualche rapporto con l’odio. Ma ognuno di noi sa che il tempo non va ammazzato, bensì “sposato”. il tempo esige che si instauri con esso un rapporto di accoglienza e di adeguata padronanza. Cercare di ammazzare il tempo porta a diversi tipi di condotta. Un primo comportamento, di gran lunga il più frequente, è quello di chi si sforza di soffocare sul nascere le questioni circa il senso della vita. Allora si occupa il proprio tempo come si riempirebbe uno spazio troppo largo, tanto da arrivare a dire: “non ho più il tempo di volgermi indietro”. il problema, in realtà, è che la noia ci rimanda sempre a noi stessi. E questo a volte svela zone della nostra storia che sono ben lungi dall’essere degne di ammirazione. Si prova, a quel punto, odio verso se stessi. Allora, per evitare sentimenti tanto difficili e complessi, ci si sovraccarica di lavoro, o almeno ci si agita. Questo ci evita di guardare in faccia le cose, e ci permette di conservare un’immagine abbastanza buona di noi stessi. Ma un’agitazione così fasulla non può durare a lungo, se non altro per la fatica e per il senso di dispersione che essa genera. Perciò l’interrogativo riguardante il senso finisce quasi sempre per uscire vittorioso da tale lotta finalizzata a metterlo a tacere. “Lascia che compia il mio lavoro in te”, sembra dirmi. Un secondo tipo di comportamento consiste nel coltivare all’infinito la nostalgia dei momenti riusciti e ben spesi del nostro passato. Per affrontare l’incognita del futuro e l’insicurezza che esso genera, ci si fonda, in modo molto legittimo del resto, sulle esperienze positive che abbiamo vissuto. Esse sono la prova che abbiamo risorse sufficienti per uscire vittoriosi dalle lotte che l’esistenza ci pone davanti. Ma quando la noia si prolunga, è un po’ come se, non potendo più investire sul presente o sul futuro, si finisse per investire in modo eccessivo sul passato.

Da qui la tentazione di abbellirlo, di compiacervisi, o di raccontarlo spesso e volentieri a colui che ci stanno accanto. A tal punto che il malcapitato a poco a poco si stanca, finisce per evitarci, e alla fin fine non è più in grado di ascoltarci neppure quando pronunciamo una parola nuova! Terzo tipo di condotta: la regressione tramite la ricerca di sensazioni. La lingua, utilizzando lo stesso termine “senso” per designare sia il significato, sia la facoltà del corpo di percepire realtà a lui esteriori, ci mette sulla strada di quella verità antropologica che spesso viene ricordata dai filosofi: nessuna cosa che non sia stata percepita prima dai sensi può creare senso. Significato e sensazione sono intimamente legati. Perciò è normale che nella vita vi sia una sorta di panico dei sensi quando il senso della vita viene colpito dall’esperienza della noia. Tutto è accettabile, fuorché l’assenza di sensazioni! al punto che si arriva ad augurare a se stessi di “avere delle noie” per uscire dalla noia! O che si cerca di riattivare sensazioni di godimento sperimentate nella prima infanzia: ad esempio quelle dello stadio orale, che spingono a mangiare o a bere fino all’eccesso. O infine, si comincia a somatizzare: i mali del corpo prendono il posto delle parole. La persona che si annoia viene dunque messa a confronto con la complessità del proprio essere. Viene guidata molto rapidamente a riconoscere il terreno pulsionale nel quale si radicano le sue passioni e le sue virtù. Scopre umilmente come il proverbio “l’ozio è il padre di tutti i vizi” contenga una parte di verità, e percepisce comunque maggiormente la precarietà del confine tra il vizio e la virtù. Infine intuisce che la vita morale, che consiste nello scegliere di dar senso al tempo che passa, può legittimamente essere definita come una lotta contro l’insensatezza della noia. Capiamo allora come il lasciare che la noia si stabilisca in noi e il non aiutare il nostro prossimo a lottare contro di essa siano atteggiamenti profondamente immorali. Infatti è come tollerare che l’assurdo possa prima o poi diventare l’ultima parola sull’esistenza. Allora quale strategia usare per lottare contro la sua forza devastante? La risposta sembra evidente: non permetterle di stabilirsi in noi; ricercare e accogliere tutto ciò che porta noi stessi a creare senso

X. Thévenot, Avanza su acque profonde, Qiqajon, Bose 2001, pp. 49-53.