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L’accoglienza del cane

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Gaza! Questa enorme prigione dalle sbarre d’odio si trasforma sotto i nostri occhi nel crocevia di popoli e mondi che era 1500 anni fa. Usciamo dalla solenne porta orientale e ci dirigiamo dritti verso il sole nascente, sospinti dalla brezza del mare. Sdraiata sulla fertile pianura, poco più a nord, già si scorge la sagoma di quella che sembra una minuscola città racchiusa da una cinta squadrata. Percorriamo, prima che il caldo diventi insopportabile, le poche miglia che ci separano da quella piccola fortezza dello spirito: il monastero di abba Doroteo. Quando mettiamo piede nel cortile centrale, i monaci stanno uscendo di buon passo dalla chiesa per disperdersi verso le rispettive occupazioni. Notando la nostra aria smarrita (e magari anche l’abbigliamento così diverso dalla sua tunica senza maniche, fermata da una cintura e coronata da un umile cappuccio), un monaco poco più anziano degli altri ci viene incontro. Lo sguardo di una decisa tenerezza, la barba ben curata, ci accoglie con un: “Benvenuti, fratelli e sorelle, come può servirvi la nostra pochezza?”. “Veniamo da molto lontano per chiedere una parola ad abba Doroteo” – si fa avanti una ragazza.

“Ti ascolta, di’ pure” – risponde l’abba chinando il capo.

“Ah… ecco… vorremmo sapere dove si trova il confine tra la sofferenza che proviamo per gesti o parole ricevuti e l’essere considerati permalosi”.

Non appena si spegne l’ultima parola, il monaco fa un cenno nell’aria. Da qualche parte, risponde un sonoro picchiettio di legno. Senza rendercene conto, ci ritroviamo seduti a terra, circondati da una trentina di monaci disposti in semicerchio attorno all’abba, che con voce chiara propone: “Esaminiamo, fratelli, perché a volte si sente una parola spiacevole e la si lascia passare come se neppure la si fosse sentita; altre volte ci si turba subito non appena la si sente. Qual è il motivo di questa differenza? Io vedo che ce ne sono molti. Prima di tutto però, vediamo come non sia detto che il non turbarsi per le parole di un altro sia segno di virtù. Accade infatti anche di non turbarsi per disprezzo. Non si dà peso a quello che viene da lui, si reagisce con una solenne indifferenza: non prestandogli quell’attenzione che è dovuta a un essere umano, non si tiene conto né di quello che dice né di quello che fa”.

“Questo già mi consola…” – bisbiglia la ragazza.

“Non ci turbiamo poi se ci troviamo in uno stato d’animo pacificato o se abbiamo simpatia per qualcuno e per questo sopportiamo senza turbarci quello che viene da lui”.

“Sì, beh… fino a un certo punto” – pensa la giovane – “quant’è frustrante quando io sono nella pace dei sensi e lui con una parola riesce a farmi precipitare nel cuore di un buco nero!”.

“Questa è un’illusione” – prosegue l’abba come se le avesse letto nel pensiero – “evidentemente una passione sonnecchiava già in noi e il turbamento provocato dalla parola del fratello non fa che manifestarla perché, se vogliamo, possiamo pentircene. Al di là della molteplicità delle cause, l’unico motivo profondo di ogni turbamento, se cerchiamo con precisione, è quello di non rimproverare sé stessi”.

“Cosa!? Ma c’è un limite a tutto: devo rimproverarmi anche per i suoi errori?”.

“Non è questo” – interviene sussurrando un giovane monaco seduto accanto a lei – “è acquisire l’umiltà necessaria a sviluppare un atteggiamento accogliente nei confronti di tutto ciò che ci accade. Quello che ci fa piacere lo riceviamo con piena gratitudine, come un dono che non ci siamo certo meritati; quello che ci turba lo accogliamo almeno come un’occasione per conoscerci in profondità e lavorare su noi stessi”.

“Un giorno” – continua Doroteo – “un giovane monaco che sopportava tutto mi svelò il suo segreto: ‘Accetto quello che viene come fanno dei giovani cani, i quali accettano ciò che viene loro da parte degli uomini’”.

“Non è una grande lezione di autostima, ma comincio a intuirne il valore”.

L’abba conclude il suo discorso e rapidi come si sono radunati, i monaci si sparpagliano operosi. Noi ringraziamo Doroteo, che ci congeda chinando leggermente il capo, e torniamo verso il futuro.