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Caro amico, cara amica,
da qualche giorno siamo in festa per l’annuncio pasquale che anche in questi tempi durissimi dà forza e senso alla nostra vita: “Cristo è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (1Cor 15,3). Ma come questa fede agisce sulla nostra vita concreta?
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Caro amico, cara amica,
siamo da poco entrati nel tempo liturgico della Quaresima, i quaranta giorni che ci conducono a Pasqua.
Nella grande tradizione cristiana questo tempo è sempre stato vissuto come occasione di ascesi, cioè di esercizio, di lotta spirituale: sì, perché l’essere e il vivere da cristiani (e da esseri umani) è un esercizio perseverante, un’arte da affinare ogni giorno. Purtroppo l’idea che oggi si ha dei cristiani è quella di persone con una generica attitudine alla bontà, oppure obbedienti a un codice morale. In realtà, essere cristiani è acquisire a poco a poco i contorni del discepolo, della discepola, predisponendo tutto per accogliere e fare nostra la concreta vita umana vissuta da Gesù di Nazaret.
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Caro amico, cara amica,
nella notte di Natale abbiamo ascoltato le parole rivolte dall’angelo ai pastori accorsi a Betlemme: “Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, il Cristo Signore” (Lc 2,10-11). Nel giorno del Natale questa stessa buona notizia viene espressa in altro modo dal quarto vangelo, il vangelo secondo Giovanni. Il prologo di questo testo (Gv 1,1-18) è una parola di gloria sul Natale, che ci fa capire da un altro punto di vista l’unico Vangelo dell’incarnazione, dell’umanizzazione di Dio: un uomo come Gesù solo Dio ce lo poteva dare. È una pagina teologicamente ricchissima, è la sintesi ultima: se Gesù ha narrato in modo definitivo Dio (exeghésato, come il prologo si conclude), Giovanni ha narrato in modo definitivo il senso della vita di Gesù in questi 18 versetti.
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