La lezione della mangiatoia
Cosa possono aver pensato i pastori del segno dell’angelo? Certo, ringraziarlo per il natus est, la notizia della sua nascita, ma non per il suo segno. Erit signum, ci sarà un segno, andava loro bene, ma non, hoc erit, sarà questo. Se egli non avesse dato loro alcun segno, questo li avrebbe inquietati: ora, il segno, li inquieta ancora di più. Perché, di questo segno non sanno che farsene; è un segno così povero che basta a far venire loro un mezzo pensiero di lasciar perdere il loro viaggio, come se non importasse loro il trovarlo o no. Se il suo segno non è migliore di questo, era lo stesso perderlo o trovarlo …
Ma la greppia è sparita, molti anni fa: qual è il nostro segno ora? Di cosa questo segno era segno? Non c’è affatto bisogno che ci sforziamo: di umiltà, è chiaro: segno umile, segno di uno che è umile. L’umiltà, dunque: lo troveremo grazie a quel segno, dove troviamo umiltà, e non ci sbaglieremo; e dove questa non c’è, sicuri che non lo troveremo mai. In questo giorno, non è possibile lasciar fuori questo tema: non possiamo, dobbiamo anzi affrontarlo; è talmente intessuto in ogni testo che non è possibile evitarlo. Ma tra tutti, il tema è nel segno stesso, più che in tutti i testi. Un segno così grande, di una così grande umiltà, quale mai ce ne fu. I segni sono interpretati come meraviglie: “Maestro, vorremmo vedere un segno” (Mt 12,38), cioè un miracolo. E in questo senso, questo è un segno di cui meravigliarci. Davvero, ogni parola qui è una meraviglia: un infante; la Parola senza una parola, la Parola eterna incapace di dire una parola. Una meraviglia, certo. E l’avvolto in fasce: anche questo una meraviglia. Lui che, come dice in Giobbe, prende il vasto corpo del grande mare, lo gira e rigira, come un piccolo bimbo, e lo fa ruotare avvolgendolo con le fasce dell’oscurità (Gb 38,8-9); lui, venire a noi avvolto in cenci, proprio lui! E però, tutto è bene: tutti i bambini sono così; ma nella greppia è questo bambino, questo è la meraviglia. I bambini non giacciono lì. Lui sì, lui lì giace, il Signore della gloria senza alcuna gloria. Invece di un palazzo, una povera stalla; invece di una culla nobile, la greppia degli animali; nessun cuscino tranne un ciuffo di fieno; nessun arazzo se non polvere e ragnatele; nessun domestico, ma in mezzo ad animali. Perché, se la locanda era piena, la stalla non era vuota, possiamo star sicuri. Un segno, questo, anzi tre in uno, capace di stupire chiunque … O Signore, o Signore, dice il re David, suo padre, rapito in ammirazione, che meraviglia! Che cosa? “Tu l’hai fatto inferiore agli angeli” (Sal 8,6), poiché l’Apostolo applica a Cristo questo versetto (cf. Eb 2,7). Inferiore agli angeli? Anzi, ancora più in basso, dice Isaia nel suo capitolo 53,3, il più basso degli uomini: anzi, più in basso ancora, dice l’angelo qui, più in basso del più in basso tra gli uomini. Perché una stalla, una greppia, è un posto per animali, non per uomini. Così basso. Certo, si può dire che questo sia un segno, in questo senso, davanti al quale meravigliarsi. Se lo si guarda dentro per bene, esso è in grado di colpire ogni uomo fino all’estasi.
Ma se noi ce ne stiamo solo in contemplazione, e pieni di meraviglia davanti a questo segno, l’angelo ci rimprovererà alla sua nascita, come essi fecero con gli apostoli, per la stessa ragione, alla sua ascensione (cf. At 1,11). Quale lezione dobbiamo noi trarne? Poiché parla mediante i segni, i segni hanno un loro linguaggio, e questo non è un segno muto. Cosa dunque dice a noi? Cristo, anche se non può ancora parlare in quanto bambino neonato, tuttavia con esso egli parla, e dalla sua greppia, come da un pulpito, in questo giorno, predica a noi, e il suo tema è: Imparate da me, perché sono umile (Mt 11,29): umile nella mia nascita, tutti voi lo vedete. Questo è la lezione della greppia di Cristo.
Lancelot Andrewes, Dio è diventato uomo. Sermoni per il Natale