La solitudine rende possibile una vera e reale amicizia
In solitudine, invece, si può prestare attenzione al proprio io. Questo non ha niente a che fare con l'egocentrismo o con una introspezione malsana perché, secondo le parole di Rilke: «Ciò che accade nella profondità del nostro essere è degno di tutto il nostro amore». In solitudine possiamo essere presenti a noi stessi. Là possiamo vivere, come dice Anne Morrow Lindbergh «come un bambino e come un santo nell'immediatezza del qui e dell'ora». Là «ogni giorno, ogni azione, è un'isola, lavata dal tempo e dallo spazio, e di un'isola ha la completezza», In quel luogo possiamo anche essere presenti per gli altri, estendendoci fino a loro, non avidamente, per attirarne l'attenzione o suscitarne l'affetto, ma offrendo noi stessi per aiutarli a costruire una comunità d'amore. La solitudine non ci trascina lontano dai nostri fratelli ma rende piuttosto possibile una vera e reale amicizia. Pochi hanno espresso questo concetto meglio del monaco trappista Thomas Merton, il quale pur avendo trascorso gli ultimi anni dell'esistenza vivendo da eremita, fu condotto dalla solitudine contemplativa ad un intimo contatto con gli altri. Il 12 gennaio 1950 egli scriveva nel suo diario:«In questa solitudine profonda scopro la dolcezza che ci permette di amare realmente i fratelli. Più vivo da solitario più provo affetto per loro. È un affetto puro e pieno di reverenza per la solitudine altrui».
H.J.M. Nouwen, Viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo, Queriniana, Brescia 2004