Un amore più forte dei nostri cuori induriti

Davide Benati, Regina di Shangai, 2003, acquarello su carta intelata, cm 195×297,5
Davide Benati, Regina di Shangai, 2003, acquarello su carta intelata, cm 195×297,5

1 aprile 2024

Mc 16,9-20

In quel tempo 9risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. 10Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. 11Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.

12Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. 13Anch'essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.

14Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto.    15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.


A una prima lettura, questo vangelo può suscitare in noi sconforto per l’incredulità ostinata degli apostoli e – non necessariamente in contrapposizione – un certo scetticismo di fronte ai segni mirabolanti elencati da Gesù. 

Per superare queste reazioni occorre fare qualche passo in più. Il brano che leggiamo è considerato dalla critica un’aggiunta posteriore al testo di Marco, a cui è inoltre assegnata una data tardiva, quando la generazione dei testimoni della resurrezione era quasi scomparsa e, per il mancato ritorno di Cristo, la fede di molti vacillava. Non è questa una situazione simile alla nostra, dove il persistere di “guerre e rumori di guerre” nei giorni della Pasqua può offuscare la nostra gioia, fino a raffreddare quell’amore che è la più eloquente espressione della fede (cf. Mt 24,6.12; Gal 5,6)?

Questa prima riflessione ci aiuta a metterci accanto a questo brano per cercare di esserne consolati, come dovettero esserlo quei cristiani per cui fu scritto. Possiamo così riconoscere nell’incredulità e nella durezza di cuore degli Undici l’infedeltà e il cinismo dei credenti di ogni generazione rispetto all’amore del Signore; amore che se da un lato non risparmia agli apostoli una correzione sferzante per la perseverante durezza di cuore di cui hanno dato presto prova nella loro sequela di Gesù (cf. Mc 6,52; 8,17), dall’altro non viene meno e non esita ad inviarli in missione. 

Questo perché solo chi sa di essere perdonato può annunciare il perdono, così come solo chi è stato amato può amare di un amore che libera e non costringe. È questa la chiave per leggere i segni che accompagnano la sequela dei credenti – non solo degli apostoli ma di noi tutti! – come manifestazioni di questo amore. Così vediamo che i credenti, anche se toccati dal male, non se ne fanno vincere ma lo vincono con il bene (cf. Rm 12,21); aprono nuove vie di comunicazione con ogni persona (cf. At 2,8-11; Fil 4,5); si fanno vicini a chi è malato per confortarlo – più che “guarirlo”, come suggerisce la traduzione della cei – con parole e gesti; combattono ciò che aliena l’uomo fino a renderlo schiavo. 

Un’attenzione particolare credo vada riservata al segno centrale: la capacità di “prendere i serpenti”. Il verbo usato è lo stesso con cui Giovanni il Battista indica l’Agnello di Dio come colui che toglie il peccato del mondo (cf. Gv 1,29): un “togliere” che è anche un “prendere su di sé”, un “portare”. In questo modo, possiamo vedere in questi serpenti le diverse forme del male che scorgiamo intorno a noi e che, prima di tutto, dovremmo riconoscere dentro di noi (cf. Mc 7,15-23), per avere il coraggio e l’onestà di farcene carico anziché addossarle a altri o fingere che non esistano. Forse proprio questo può sembrarci il compito più arduo; perché quanto a cacciare i demoni e curare i malati, gli apostoli ne erano stati capaci prima ancora che si manifestasse la loro durezza di cuore (cf. Mc 6,13). 

Ma la conclusione di questo vangelo ci sostiene: è Gesù stesso ad operare insieme a noi e a rendere salde le nostre parole e le nostre azioni, lui che conosce bene la nostra debolezza (cf. Eb 2,18): senza tacere la nostra infedeltà, saprà cogliere il momento opportuno per dirci: “Andate in tutto il mondo e annunciate tutto il vangelo a tutta la creazione”, dove questo “tutto” bandisce ogni riserva e ogni esclusione, è pronto a coprire tutto con il manto della misericordia

E noi, riusciremo a fidarci della sua parola o cederemo alla tentazione di chiuderci a riccio sulle nostre insicurezze?

fratel Federico