Per Dio e per gli altri
28 maggio 2024
Lc 12,16-21 (Lezionario di Bose)
In quel tempo 16 Gesù disse una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: «Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!». 20Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
La parabola e l’insegnamento del vangelo di oggi nascono dal dialogo dei versetti precedenti (cf. Lc 12,13-15), in cui Gesù è chiamato a risolvere una questione di eredità tra fratelli. Ma la risposta di Gesù amplia il discorso per farci riflettere sulla vera fonte della nostra vita, mettendoci in guardia dalla cupidigia (cf. v. 15), che letteralmente è il desiderio di avere di più e che può divenire un idolo che assorbe tutte le nostre energie (cf. Col 3,5).
L’uomo ricco della parabola è così… ha molto, anzi ha di più, e cerca la strategia per governare questo di più. È pronto a distruggere quello che ha per ricostruire più in grande, sicuro che ciò sia sufficiente per trovare pace e appagamento. Non immagina un limite. Soprattutto è un uomo che non guarda ad altro che a sé stesso: ragiona tra sé e sé (è qui usato il vocabolo negativo dialoghismós, il pensiero autocentrato e mal ispirato), parla di suoi frutti, suoi beni, suoi granai, della sua anima.
È ricco di beni e di sé, povero e vuoto di relazioni, di spazio nel suo cuore e nel suo ragionamento per altre presenze. Per questo motivo viene apostrofato come “stolto” (v. 20) con una parola che indica la mancanza di un sentire con il cuore, di percepire con la parte in cui risiedono sentimenti, emozioni, passioni. Chiuso nella sua cupidigia, perde la sua umanità; il suo ricercare beni solo per sé lo conduce a perdere la sua anima, la sua vita, in maniera inaspettata, nella notte, nel tempo in cui non siamo più padroni di noi stessi, forse il tempo in cui lasciamo la presa sulla nostra vita e in cui si svela ciò su cui questa vita è fondata.
Sembra quasi che in questo suo agire l’uomo ricco si allontana via via da Dio, perché il suo dio è il possesso per sé, diviene lui stesso dio per sé. E quando perde la sua vita in realtà si rivela che tutto il resto è perso, non sarà per nessuno, non lascerà eredità. Leggiamo infatti: “Per chi sarà?” (v. 20), lasciando intendere che non c’è un destinatario, nemmeno un fratello con cui dividere l’eredità. Il suo autocentrarsi l’ha portato alla solitudine, nella vita come nella morte.
Il messaggio del vangelo diventa allora un invito a fare diversamente. La ricchezza, i beni, come anche le proprie qualità, i propri talenti, devono essere “per Dio” (v. 21). L’idolo della cupidigia deve lasciare spazio al Dio di Gesù, un Dio che ha mostrato una logica totalmente diversa. Perdere per guadagnare, svuotare sé stesso anziché custodire gelosamente (cf. Fil 2,5), trovare gioia nel dare e donare più che nel ricevere. Un Dio che invita a distogliere lo sguardo da sé stessi per alzare gli occhi verso i corvi, i gigli, l’erba del campo che trovano comunque pienezza di vita, tutto ciò di cui hanno bisogno.
Ciò non vuol dire rimanere “oziosi”, ma entrare nella prospettiva che ciò che abbiamo non è solo per noi. Anzi, troviamo la piena vita solo liberandoci dalle troppe preoccupazioni per noi stessi. Il testo ci chiede infatti di essere “ricchi per Dio” (v. 21), ovvero di costruire una relazione privilegiata con lui, consegnare a lui la nostra vita con tutto quello che contiene.
È il paradosso del vangelo: essere per Dio, essere per gli altri, per trovare ciò di cui abbiamo bisogno. Anzi, di più… il centuplo.
fratel Marco