Ogni possibile spiraglio

Foto di Nicolas Picard su Unsplash
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Mc 6,1-6

In quel tempo 1 Gesù partì e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6aE si meravigliava della loro incredulità.6bGesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando.


I discepoli seguono il loro Maestro in questo rientro a casa sua, ma non hanno alcun ruolo, è un faccia a faccia tra Gesù e i suoi concittadini, che sono stati uno dei cerchi più stretti della sua vita di relazione primaria.
Ma perché Gesù è tornato nella sua patria? Chi o che cosa lo hanno spinto a fare questo? Aveva già preso le distanze dai suoi (cf. Mc 3,31-35) e loro pensavano che fosse un povero svitato da recuperare in qualche modo, uno “fuori di sé” (Mc 3,21). 

Loro si scandalizzano di lui vedendo sapienza e prodigi inspiegabili, lui si meraviglia (è una considerazione specifica di Marco, sempre attento alla dimensione umana nel suo narrare l’Evangelo) constatando la loro non fede, il loro non fidarsi di Lui e non tirare le giuste conclusioni da ciò che pur li interroga ascoltando e vedendo un profeta. Vien da chiedersi, al di là della spiegazione di fondo che ne dà Gesù, perché non sia stato un incontro positivo, come tanti altri.

Forse c’erano troppe attese: da parte dei Nazaretani certamente condizionate da precomprensioni e conoscenze date per scontate; da parte di Gesù sostenute forse dalla speranza che un contatto diretto potesse essere convincente e superare le letture distorte.

L’episodio prende sul serio e colloca anche nella vita di Gesù, culmine della storia di salvezza, la speranza rischiosa, il “forse” delle relazioni umane, sempre condizionate dalla libertà dell’altro. Un “forse” umanissimo che, pur nell’esperienza amara di interrogativi che non diventano cammini di incontro ma sassi d’inciampo, scandalo, va custodito in ogni caso perché spinge ad azzardare rapporti, a sollevare domande, a tentare relazioni.

Un “chissà” che vale non solo tra gli uomini, ma anche con Dio (cf. Am 5,15; Gn 3,9) e che Dio stesso affronta lungo tutta la storia di salvezza: “forse ascolteranno e cambieranno (Ger 36,3.7) forse avranno rispetto di mio Figlio” (Lc 20,13).

Questa libertà di risposta, così caratteristica dell’umano, condiziona e ostacola lo stesso agire del Signore, ma non gli impedisce di tentare ancora ed ancora, non esaurisce la sua pazienza e la sua fiducia negli uomini che lui ha voluto liberi, a sua immagine e somiglianza.
Anche Gesù esce da questo incontro stupito e limitato, ma non prende le distanze e non è del tutto impedito, entra comunque in relazione con chi è nel bisogno, si prende cura almeno di alcuni.

L’episodio ci dice qualcosa della realtà stessa di Dio, perché solo chi è capace di cambiare riesce ad aspettare e sperare cambiamento dagli altri, è disposto a tentare e rischiare; solo chi ama si fa comunque presente con discrezione, ma approfittando di ogni possibilità e spiraglio.

Ma c’è una seria impotenza anche da parte del Signore, niente va in automatico, garantito dal divino, è un incontro fallito anche per lui, una delusione!
In una prospettiva più lunga, forse anche qui ha lavorato la logica della morte e resurrezione: la tradizione della Chiesa dei primi secoli trasmette il resoconto di un processo contro alcuni cristiani che dichiarano di essere discendenti dei concittadini e dei parenti di Gesù e sono pronti al martirio pur di non rinnegare la loro fede in Lui.

fratel Daniele