Quel che dis-umanizza de-divinizza

Foto di Louis Gaudiau su Unsplash
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Mc 7,14-23

In quel tempo 14chiamata di nuovo la folla, Gesù diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! 15Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro». [ 16]
17Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. 18E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può renderlo impuro, 19perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. 20E diceva: «Ciò che esce dall'uomo è quello che rende impuro l'uomo. 21Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, 22adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo».


I discepoli interrogano il rabbi su ciò che aveva insegnato in reazione al modo in cui alcuni ritenevano normale riproporre la “tradizione degli antichi”. Lo interrogano sulla “parabola” perché quel suo detto per un verso semplifica le cose, per un altro le complica.

Se pensiamo a certe norme previste dalla Legge di Mosè, nella fattispecie alimentari, potremmo dire che semplifica: tutto finisce nella stessa fogna, non c’è da perdersi in distinzioni arbitrarie e scrupoli eccessivi. Analogamente per altre norme, di fronte alle quali i cristiani potranno rivendicare la libertà portata da Gesù: “Nessuno vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o per feste, noviluni e sabati” (Col 2,16). 

Per un verso il vangelo della libertà semplifica, per un altro complica, perché non dispensa dal discernimento, anzi! Può essere più semplice attenersi a quanto stabilito da altri, Mosè o un’altra istanza di legge che si sostituisca alla coscienza, e invece ciascuno è chiamato alla responsabilità di fronte al proprio cuore. Lì punta Gesù, radicalizzando la predicazione profetica: non ciò che entra nel ventre, semmai ciò che contamina il cuore e quindi soprattutto ciò che vi esce.

In una certa impostazione religiosa tutto pare predeterminato in modo molto chiaro: l’impurità è definita dalla condizione in cui una persona viene oggettivamente a trovarsi, e la liberazione dall’impurità è legata a determinate precauzioni e collaudati rituali che devono essere puntualmente messi in atto. Non possiamo però fermarci lì, a ciò che si potrebbe predeterminare esteriormente; con Gesù puntiamo all’interiorità, perché si tratta di considerare:

- come io soggettivamente mi pongo in quella data condizione in cui mi vengo a trovare;

- cosa faccio dei pensieri che inevitabilmente sorgeranno in me in quella situazione;

- perché decido di acconsentire o resistere a un certo proposito. 

I discepoli interrogano Gesù e lui li rimanda alla loro esperienza, a partire dalle cose più comuni, tanto fondamentali quanto il prendere cibo ed evacuarlo: “Siete senza intelligenza, non comprendete?”. Guardatevi dalla religiosità ridotta a foglie che coprono esteriormente i frutti di una pianta dalle radici malate (cf. Mt 7,20). Concentrate l’attenzione sulla radice interiore!

L’impuro che contamina, che espone a un rapporto pericoloso e nocivo con ciò che è santo, non viene da fuori ma da dentro. La lista di propositi di male riportata da Marco ci insegna a chiamare onestamente per nome tutto ciò che attenta alla vita di relazione con gli altri. Perché di fronte all’umanità, altrui e propria, siamo esposti al rapporto con il Santo per eccellenza. 

Davvero non si tratta solamente di obbedire a regole e precetti di buona condotta, bensì di riconoscere la bontà dell’intera creazione e l’universale vocazione alla divinizzazione

Riflettendo sulle mancanze che nell’esperienza cristiana chiamiamo peccati, François Varillon osservava che questi “non sono sperimentati solo come un disordine rispetto alle regole della normalità, o come un colpevole consenso alla dis-umanizzazione degli altri e di sé. Agli occhi della fede, ciò che dis-umanizza de-divinizza. Ciò che nuoce alla promozione della persona umana allontana dalla trasfigurazione in Dio”.

fratel Fabio