Segno di realtà

Foto di Vicky Ng su Unsplash
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Mc 8,11-26

In quel tempo 11vennero i farisei e si misero a discutere con Gesù, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. 12Ma egli sospirò profondamente e disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno». 13Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l'altra riva. 14Avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. 15Allora egli li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». 16Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. 17Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? 18Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, 19quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». 20«E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». 21E disse loro: «Non comprendete ancora?». 22Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. 23Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». 24Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano». 25Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. 26E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».


“A questa generazione non sarà dato alcun segno” – tronca netto Gesù. Perché un rifiuto così categorico? Secondo Matteo e Luca, egli avrebbe almeno offerto sé stesso come segno, la propria morte e resurrezione (Mt 16,4; Lc 11,29). Qui invece proprio nulla, “alcun segno”, senza possibilità di appello: “Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l’altra riva”. 

Come si spiega una tale durezza?

Forse semplicemente, ma inesorabilmente, un segno non si dà se non a degli occhi che possano accoglierlo come tale. Ne abbiamo tutti esperienza, un segno non è mai univoco e incontrovertibile: quel piccolo indizio che per qualcuno è la prova tanto attesa, per un altro non è che una coincidenza. Come allora a chi non ha orecchi per ascoltare la parola viene tolto anche quel che in realtà possedeva, ma senza nemmeno esserne consapevole (Mc 4,25), così a chi non ha occhi per vedere, Gesù nega quel segno che a ben vedere è già presente.

Il maestro di Nazareth ha appena concluso un periplo di Galilea, Libano e Decapoli costellato di ogni sorta di prodigio, tra cui la frazione del pane per i cinquemila giudei e per i quattromila pagani, eppure i farisei gli chiedono un segno, mentre i suoi stessi discepoli si preoccupano di non avere pane. Significativamente, i Dodici “discutevano fra loro perché non avevano pane”, mentre invece un pane l’avevano. Certo, era “un solo pane”, ma c’era. I loro occhi però, così fissi su quel che mancava, erano incapaci di riconoscere quel che già c’era. Ecco perché a questa generazione non può proprio essere dato alcun segno, perché ha occhi e non vede, ha orecchi e non ode.

Purtroppo però questa strana forma di cecità era cominciata ben prima di quella generazione e si perpetua ben dopo. Non è un caso che Gesù abbia ripreso quella tremenda domanda “avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?” dal profeta Geremia, che continuava la sua provocazione indicando come segno ai suoi contemporanei null’altro che la sabbia che il Signore ha posto come confine al mare, o la pioggia che bagna l’autunno e la primavera (Ger 5,21-24).

Che cos’è allora un segno? Il miracolo che ristabilisce in modo incomprensibile la normalità armonica e ordinata della realtà o non piuttosto la realtà stessa nell’ordinario prodigio della sua bontà?

Non si tratta dunque di chiedere un segno, perché tutto già è segno, ma di supplicare il Signore perché riproponga anche a noi le tre tappe che hanno dato al cieco di Betsaida occhi capaci di vederlo.

Si incomincia con un salutare decentramento, lasciandosi condurre per mano fuori della città e provocare dalla domanda: “vedi qualcosa?”, cosicché un’altra prospettiva educhi lo sguardo a cogliere con rinnovato stupore una realtà a cui si era troppo abituati. Si prosegue con uno sforzo attivo d’immaginazione, capace di scorgere in delle sagome sfocate degli uomini che camminano, in un bambino l’adulto che sarà, in una sfida un’opportunità. Infine, è necessario armarsi di una sana dose di pazienza, perché solo un miracolo prolungato e partecipato può darci occhi capaci di cogliere il segno della realtà.

fratel GianMarco