Diventare tutt’uno con la Parola
19 febbraio 2025
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 13,18-23 (Lezionario di Bose)
In quel tempo Gesù disse:" 18Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. 19Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l'accoglie subito con gioia, 21ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. 22Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. 23Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Oggi ascoltiamo la spiegazione che Gesù dà ai suoi discepoli della parabola del seminatore, e già qui abbiamo uno spunto per la nostra meditazione: noi possiamo comprendere la Parola ascoltando Gesù, la parola fatta carne, colui che è la chiave ermeneutica, interpretativa, delle Scritture.
In questa linea di lettura notiamo che una delle pochissime differenze di questo testo nelle tre versioni dei vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) si trova nella spiegazione dell’ultimo terreno, quello buono, quello che produce: Marco dice che tutti i terreni ascoltano la parola ma poi solo quello che l’accoglie porta frutto.
Anche Luca dice che il seme raggiunge tutti i terreni grazie all’ascolto ma poi solo quello che la trattiene è quello buono.
Matteo invece non parla né di accoglienza né di trattenere ma di com-prendere, “prendere con sé”, “far proprio”, “capire dal di dentro”.
Potremmo dire che il verbo greco utilizzato da Matteo presuppone quelli usati da Luca e Marco: per comprendere occorre prima accogliere e poi trattenere, occorre essere disponibili, aperti, ricettivi della parola e poi restare in relazione con essa, intrattenersi, dare del tempo alla parola.
Detto con altre parole: Marco dice che non basta ascoltare con le orecchie, occorre aprire anche il cuore alla parola. Accogliere significa “fare spazio”, predisporre tutto e essere disponibili all’altro e nel caso della parola essere disponibili a interagire con quella parola che può anche sconvolgere i nostri equilibri fragili.
Luca aggiunge che non basta un ascolto frettoloso, di breve durata, occorre perseverare, stare, dimorare nell’ascolto. La parola ha bisogno di tempo per scendere dalle orecchie al cuore e poi ha bisogno di altro tempo per scalfire e penetrare nei nostri cuori così spesso callosi se non proprio completamente induriti.
Matteo invece sottolinea l’aspetto del comprendere che non è solo una questione intellettuale, ma oserei dire esistenziale: perché la parola porti frutto in noi occorre che noi la sentiamo “nostra”, la percepiamo come qualcosa che ci riguarda, qualcosa non di esterno a noi ma piuttosto che ci abita, qualcosa che abbiamo preso presso di noi, e per fare questo abbiamo bisogno di “tenere fisso lo sguardo su Gesù” (Eb 12,2) perché è lui che ci ha narrato, con le parole e con la vita, il volto del Padre e la realtà del Regno.
Gesù ci invita a stare con la parola, a frequentarla, starci insieme fino a fare tutt’uno con essa… solo così la parola porterà frutto in noi, ovvero genererà vita in noi, come avviene con il seme che, incontrandosi con il terreno che è disponibile ad accoglierlo, che lo trattiene, s’impasta con esso e riceve da esso ciò di cui ha bisogno per germinare.
Noi abbiamo bisogno della parola per essere fecondi, per vedere spuntare la vita nel terreno della nostra esistenza, ma anche la parola ha bisogno di noi per essere accolta e custodita e poter sprigionare tutte le sue potenzialità di vita che trasformeranno questo nostro povero mondo nel terreno buono, bello, del Regno.
Sorella Ilaria