Nella pasta del mondo
21 febbraio 2025
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 13,31-35 (Lezionario di Bose)
In quel tempo Gesù 31espose loro un'altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell'orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
33Disse loro un'altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.
Che cos’hanno in comune un seme di senape e un pugno di lievito? Essenzialmente due caratteristiche, strettamente connesse tra loro.
Da una parte sono entrambi realtà poco appariscenti, piccole e umili; dall’altra, sono realtà destinate a restare nascoste, anzi a scomparire rispetto a qualcos’altro che dovrà/potrà emergere dopo di loro e anche grazie a loro. Il senso di tutta la loro vita è quello di dar vita a qualcos’altro di più grande di loro, che va oltre loro stessi, oltre la loro piccola, limitata e apparentemente insignificante esistenza.
Se queste realtà sono assunte come segni e immagini del Regno, lo sono non tanto perché ci descrivono o ci dicono qualcosa di positivo, di “oggettivo” su che cosa sia (o non sia) il Regno in sé stesso (non è questo del resto il senso delle parabole in generale), ma in quanto ci suggeriscono uno “stile” di esistenza, quello con cui quel regno si manifesta, vive e si sviluppa in questo mondo. Uno stile di esistenza che corrisponde per l’appunto a quello di Gesù, che quel Regno lo ha annunciato e incarnato nella propria vita, lui il “Regno in persona” (autobasileía), come diceva Origene. Tutta la sua vita fu un “vivere per”, una pro-esistenza di “uomo-per-gli altri”, secondo le parole di Dietrich Bonhoeffer.
Gesù è in fondo quel seme seminato sulla terra, lui quel lievito mescolato e nascosto nella pasta fino a scomparirvi. E non dimentichiamo che nel Quarto vangelo l’immagine del seme ritorna nelle parole di Gesù proprio per interpretare la sua personale vicenda pasquale di morte e resurrezione: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).
Ma queste parabole ci dicono anche che il Regno di Dio (o dei cieli, come preferisce dire Matteo) finché siamo in questo mondo non può essere una realtà osservabile in sé stessa (cf. Lc 17,20), separata e distinta, per così dire allo stato puro, come si ammira un quadro appeso a una parete o un oggetto prezioso in una vetrina. Il Regno di Dio, cioè il piano, il disegno, il “sogno di Dio” per questo mondo, è una presenza “mescolata” tra i limiti della realtà di questo mondo (pensiamo anche al grano mescolato alla zizzania!), seminata nei solchi della storia e impastata tra i dolori e le gioie degli uomini, una presenza nascosta e crocifissa. Si manifesta attraverso la sua azione e i suoi frutti, certo, ma anche questi per adesso e fino al momento finale sono sempre piccoli e parziali. Il doveroso annuncio della risurrezione di Cristo e della sua vittoria sulla morte, che è il fondamento della nostra speranza (perché ciò che è avvenuto in lui è primizia di una vita che sarà di tutti) non può giustificare una visione della vita e della storia di tipo ingenuamente trionfalistico, in cui ogni opacità venga diradata e tutto già appaia in piena luce.
“Il cristianesimo non è opera di persuasione ma di grandezza, quando è odiato dal mondo” (Ignazio di Antiochia). Una grandezza umile, nascosta e contraddetta. Che non vuol dire inefficace né destinata a rimanere insignificante.
Tutto questo in definitiva diventa per noi criterio di discernimento. Noi cristiani, chiamati a essere “figli del regno” (Mt 13,38), al seguito di Gesù, non siamo chiamati ad apparire o a cercare visibilità, magari per difendere i “diritti di Dio”, a cercare spazi separati o a occupare spazi di potere (la storia cristiana dimostra come ogni tentativo di instaurare una qualche forma di teocrazia o di utopica “città di Dio” si risolva in misero fallimento, per non dire in tragedia) ma piuttosto a scomparire, a mescolarci a quest’umanità, a questo mondo di cui siamo totalmente parte, affinché esso – secondo i tempi stabiliti da Dio stesso e non da noi – possa risorgere a vita nuova, anche attraverso questa presenza e azione nascosta. Occorre crederci.
fratel Luigi