Gesù apre uno spiraglio
7 aprile 2025
Dal Vangelo secondo Marco Mc 11, 20-26
In quel tempo20Gesù e i discepoli, passando, videro l'albero di fichi seccato fin dalle radici. 21Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l'albero di fichi che hai maledetto è seccato». 22Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! 23In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: «Lèvati e gèttati nel mare», senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. 24Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. 25Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe». [ 26]
Nel cammino da Betania a Gerusalemme i discepoli si accorgono che il fico oggetto dell’episodio appena raccontato (vv. 12-14) “è seccato fin dalle radici”. Pietro si fa portavoce dei discepoli ed esprime la sua meraviglia per l’accaduto.
Non pone una domanda diretta ma Gesù risponde in modo più ampio con parole che Matteo e Luca riportano in altri contesti, e che Marco invece raccoglie qui, dandogli una connotazione particolare che va collegata anche all’episodio del tempio dove Gesù ha cacciato venditori e cambiavalute (vv. 15-19).
Il fico era un simbolo di Israele e della sua relazione con il Signore, nel bene e nel male. Trovare e avere frutti era segno di una comunione vera e feconda (Dt 8,8; Is 36,16), così come la loro assenza era indizio di una relazione ferita… (Nm 20,5; Sal 105,33). I profeti rappresentano così il fallimento dell’alleanza con Dio: “non ci sono più fichi!” (Mi 7,1; Ger 8,13).
Il messaggio di Marco è chiaro: il tempio, cuore della relazione fra Dio e il suo popolo è come quel fico inaridito. Non ci sono più frutti, non c’è più vita, ha smesso la sua funzione. Non è più casa di preghiera ma spelonca di ladri (cf. Mc 11,17 e Is 56,17), è divenuto un luogo come un altro, dove si compra, si vende, si passa per le incombenze più comuni. Il tempio è divenuto un luogo banale. Dio stesso è divenuto ininfluente… tanto che scribi e grandi sacerdoti, coloro che ne sono custodi, possono solo pensare al modo di uccidere Gesù (cf. 11,18).
Ma non è l’ultima parola! Gesù apre uno spiraglio…
“Abbiate la fede di Dio” dice letteralmente (v. 22). Un’espressione unica… riuscire a mettersi nei panni di un Dio che fin dall’origine ha creato un uomo “molto buono” e non rinuncia mai a questa radice di bontà. Un Dio che ha fiducia in quello che siamo, con tutte le nostre contraddizioni e fragilità. Un Dio che lotta per la vita con noi e qualche volta nonostante noi. L’immagine del monte che si leva e finisce nel mare rimanda all’opera creatrice delle origini…ma “ogni inizio contiene una magia che ci aiuta a crescere” (H. Hesse, Gradini).
Poi le parole sulla preghiera, spazio e tempo di comunione, dialogo, intimità con il Signore per nutrirsi della “sua fede”. Il tempio non è più “casa di preghiera” perché ormai ogni credente è tenda di Dio (cf. Gv 1,14). Spirito e verità sostituiscono “Il monte” come luogo di incontro con Dio (cf. Gv 4.23)! Ormai il monte è nel mare! È il nostro cuore il luogo di incontro con il Signore.
Infine il perdono… perché?
Fede e preghiera ci portano davanti al Signore così come siamo. Non possiamo nasconderci ma riconoscere e accogliere il suo sguardo misericordioso su di noi sì. Come non fare altrettanto verso gli altri? È uno scambio vitale, perdono per perdono, che non è mai finito.
Ma “la fede che sposta le montagne” ci ricorda le parole di Paolo: “se non ho la carità non sono nulla” (1 Cor 13,2). Le parole di Gesù allora convergono e ci conducono a immergerci nel mistero della Carità che Paolo descrive mirabilmente nell’inno di 1Cor 13 e che preghiamo diventi l’anima delle nostre vite.
Come ci ha insegnato san Giuseppe Cottolengo “Caritas Christi urget nos” (cf. 2Cor 5, 14).
fratel Marco