Una comunione di diversità attorno a Gesù
30 giugno 2025
Mc 3,13-19
In quel tempo, Gesù 13salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. 14Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare 15con il potere di scacciare i demòni. 16Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, 17poi Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè «figli del tuono»; 18e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo 19e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì.
Il giorno successivo alla festa dei santi Pietro e Paolo la nostra comunità vuole ricordare insieme alle chiese ortodosse il Collegio apostolico, il gruppo dei dodici chiamati a stare con Gesù e da lui inviati a predicare. Se nel corso dell’anno facciamo memoria della vocazione dei singoli apostoli, oggi li ricordiamo come la comunità di Gesù, che fin dagli inizi della sua vita pubblica ha voluto associare al proprio ministero i Dodici.
Noi siamo abituati a distinguere tra una vocazione cosiddetta “contemplativa”, quella dei monaci e delle monache, dalla vocazione “apostolica”, quella dei preti o dei missionari incaricati della cura pastorale e dell’evangelizzazione. Il testo odierno del vangelo di Marco ci ricorda che Gesù chiamò a sé “quelli che voleva”, una chiamata dunque che non si fonda su meriti personali ma soltanto su una scelta del Signore, perché “fossero con lui e per inviarli a predicare” - Gesù chiama ancor oggi a “essere” (meglio che “perché stessero”) con lui, nel quotidiano, giorno dopo giorno, alimentando la propria vita con la lettura assidua delle Scritture, lasciandosi plasmare dai suoi gesti e dalle sue parole - e “per mandarli ad annunciare”.
Non c’è separazione tra le due cose. Può essere mandato solo chi è vicino a Gesù, chi lo incontra nella sua Parola e, d’altra parte, chi vive questa intimità con lui non può non annunciarlo. Certamente le modalità dell’annuncio possono essere diverse; si può annunciare il vangelo “non necessariamente attraverso le parole”, come ci ricordava papa Francesco.
“Fece dunque i dodici”; segue una lista di nomi che spesso ascoltiamo senza farci troppo caso. Alcuni di questi apostoli ci sono noti attraverso altri racconti evangelici, di altri non sappiamo quasi nulla. Quello che è certo è che erano molto diversi per provenienza e per carattere. Fin dalle origini la chiesa è segnata da un grande pluralismo, e questa diversità costituisce una ricchezza.
“Gli uomini e le donne della via (hodós)”, come li definisce Luca negli Atti degli apostoli 9,2, sono chiamati a camminare insieme. “La chiesa è stata fatta non perché noi che ci raduniamo ci dividiamo, ma perché quelli che sono divisi si uniscano; questo significa la parola sinodo (sýnodos)” (Omelie su 1Cor 27,3), dirà Giovanni Crisostomo, verso la fine del iv secolo. E sempre il Crisostomo scrive: “Sinodo (sýnodos) è il nome della Chiesa” (Omelie sui salmi 149,1).
Il rifiuto della diversità (in tutte le sue forme), l’imposizione dell’uniformità risponde a una logica mondana contraria al vangelo. La chiesa, le comunità cristiane sono luoghi in cui si giunge a una decisione comune attraverso il confronto e la discussione, come ci insegna il primo concilio di Gerusalemme (cf. At 15,1-35). Ce lo ricorda ancora una volta Giovanni Crisostomo quando dice in una sua omelia: “Come in una cetra diverse sono le corde ma una è l’armonia, così pure nel coro degli apostoli diverse erano le persone, ma uno l’insegnamento perché uno era l’artefice, lo Spirito santo che muoveva le loro anime” (Sul martire Ignazio 2).
sorella Lisa