Perché Gesù parla in parabole?

Giovanni Frangi
Giovanni Frangi

24 luglio 2025

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 13,10-17 (Lezionario di Bose)

10In quel tempo gli si avvicinarono i discepoli e dissero a Gesù: «Perché a loro parli con parabole?». 11Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. 13Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. 14Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice:

Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
15Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!

16Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. 17In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!


“Perché parli loro in parabole?” chiedono i discepoli a Gesù; perché non parli in modo chiaro, esplicito, senza simbolismi e analogie, in modo che tutti possano capire? E così potranno accogliere te e il messaggio che tu porti. È qui l’errore: pensare che in tal modo tutti possano capire, pensare che se Gesù non avesse usato le parabole per raccontare il regno di Dio tutti avrebbero capito senz’altro il suo messaggio e allora lo avrebbero accolto.

Ma il vangelo ci dice che non è così, che ci sbagliamo. Infatti proprio quando Gesù parlerà chiaramente e senza similitudini l’odio e il rigetto nei suoi confronti aumenteranno in maniera parossistica. Così, ad esempio, quando durante la sua passione, davanti al sommo sacerdote che lo scongiurava di dire se lui era il Cristo, il Messia atteso, il Figlio di Dio, Gesù lo dichiara esplicitamente citando la Scrittura, il sommo sacerdote si stracciò le vesti in segno di scandalo e lo accusò di bestemmia, accusa per la quale il sommo sacerdote stesso e gli astanti dichiararono che era reo di morte e cominciarono a oltraggiarlo (cf. Mt 26,63-68).

Quanta poca conoscenza abbiamo di noi stessi! È difficile ammettere e riconoscere che il nostro è un cuore indurito che non vuole aprirsi all’annuncio della buona notizia, del vangelo portato da Gesù, e diamo la colpa allo sta scritto, alla parola del Signore che non è abbastanza chiara, al fatto che Dio in qualche modo sembra nascondersi dietro di essa, senza darsi a conoscere a noi in modo chiaro. E forse arriviamo addirittura a parlare di “silenzio di Dio”, ritenendoci protagonisti di un evento mistico. E invece è solo il nostro cuore indurito.

Ma allo stesso tempo Gesù chiama i suoi più intimi, i discepoli che con lui hanno accettato di condividere tutto, a essere consapevoli del dono che è stato fatto loro, del dono di conoscere la buona notizia del regno dei cieli e di vedere Colui che molti profeti e giusti hanno desiderato vedere e ascoltare, ma che non poterono, non fu dato loro. 

Quante occasioni perse nella nostra vita! Sì, molto a volte ci viene dato, ma questo molto se non viene riconosciuto e accolto ci rende sterili, invece che fecondi e generativi: “A chiunque ha sarà dato e sovrabbonderà, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (v. 12); e non è una condanna, ma è la dinamica della vita: se la vita non cresce muore, se non va avanti non resta dov’è, ma va indietro, come affermavano anche molti padri della chiesa.

E quante volte il Signore nella sua misericordia ci visita, bussa alla porta del nostro cuore e ci rivolge una parola discreta, che non ci fa violenza ma che sollecita la nostra libera accoglienza! Quante volte il Signore ci si fa incontro per venire a cercare noi, pecora smarrita, e riportarci al gregge (cf. Mt 18,12-14), per ricondurci da sentieri aridi e di morte a pascoli lussureggianti di vita, e noi forse non lo riconosciamo e preferiamo restare nelle nostre aride terre piuttosto che ammettere che ci siamo smarriti ed essergli grati per il fatto che è venuto a cercarci!

Ma noi siamo consapevoli e grati del dono che abbiamo ricevuto? Lo riteniamo una grazia e un dono grande, e non un duro e pesante giogo conoscere il Signore?

sorella Cecilia