Il Signore del sabato
31 ottobre 2025
Dal Vangelo secondo Luca - Lc 14,1-6 (Lezionario di Bose)
1Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. 2Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. 3Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». 4Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. 5Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». 6E non potevano rispondere nulla a queste parole.
“Sabato” (14,1.3.5) per Gesù è il nome della “cura-guarigione”, della vita che ritorna viva. Oggi “in casa di un capo dei farisei” mettendo a confronto “il sabato” e “i dottori della Legge” Gesù domanda loro: “è permesso o no curare di sabato?” (14,3).
Il cuore della legge per Gesù è “la cura” (14,3), “la guarigione” (14,4), il “far risorgere la vita” (14,5). In questo specifico caso “dell’idropico” (14,2) la vita viva “dell’uomo” è penalizzata da un accumulo patologico di liquido nel suo corpo.
Gesù che è “Signore del sabato” (6,5) insegna a risignificare il rapporto tra la Legge e la vita. Gesù ci pone davanti alla vita di “un figlio”, la vita di “un bue” e ci domanda che valore diamo a queste vite quando sono “nel pozzo”? (14,5) Siamo pronti “subito” a “curare”, a “guarire”, a “far risorgere” la vita “caduta”?
Nelle parole “pozzo”, “caduta” e “subito” c’è l’esigente insegnamento di Gesù per intraprendere (e non invece mortificare, paralizzare, insabbiare fin dalle origini) la difficile arte della risignificazione della Legge. Dovremmo sempre ripetere come un ritornello come Gesù ci insegna: “Il sabato è per l’essere umano” (cf. Mc 2,27) e non l’inverso: “non in giorno di sabato” (13,14) come insegna a ripetere “un capo della sinagoga”.
Cosa rispondono “i dottori della Legge” e “i farisei”? Gli uni “tacciono, restano in silenzio” (14,4). Gli altri “non furono capaci di rispondere” (14,6).
La proposta di fare il faticoso lavoro della risignificazione della Legge è troppo perturbante, troppo alterante per chi ha scelto per la sua vita una postura risentita, definita da Gesù “ipocrita” (13,15) “come i sepolcri nascosti” (11,44) sotto una Legge che non conosce il “giudizio e l’amore” (11,42), la “conversione” (13,3.5) il “perdono” (5,25) e la “grazia” (4,19).
Gesù è risoluto, ha ben chiara la via della vita e lo afferma con chiarezza pochi versetti prima del nostro testo: “oggi e domani scaccio demoni e compio guarigioni e il terzo giorno sono alla fine” (13,32). Il “terzo giorno” ha un peso rilevante nell’immaginario di Gesù. “Essere alla fine” in quel “terzo giorno” che è passaggio dalla morte alla resurrezione, è vita viva, comporta “combattimento”, “avere il sudore come grumi di sangue scendenti sulla terra” (22,44).
Per ciascuno questa via della cura, della guarigione e della resurrezione non va da sé, significa “combattere - lottare” (13,24), significa anzitutto presentarsi o essere visti da Gesù così come si è, anche tumefatti da un edema diffuso sul corpo come l’idropico, e quindi “stare di fronte a Gesù” (14,2).
A tutti viene insegnato da Gesù che prima per sé stessi e poi eventualmente per gli altri, si può diventare uomini e donne che curano per rialzare la vita “caduta nel pozzo” (14,5), uomini e donne che “lottano” “subito”, e così “addestrano le proprie mani alla battaglia, le proprie dita all’arte della lotta” (cf. Sal 144,1).
Con Paolo, se impariamo a entrare in questa lotta, in questa “porta stretta” (13,24) possiamo cantare: “Apparteniamo a colui che è risorto dai morti affinché portiamo frutti per Dio”, (cf. Rm 7,4) “il Dio che fa nuove tutte le cose”! (cf. Ap 21,5).
fratel Giuseppe
