Gioia che si comunica di saluto in saluto

Foto di Gabriella Clare Marino su Unsplashsu
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8 dicembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca - Lc 1,39-45 (Lezionario di Bose)

39In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».


Oggi, guardando a Maria, possiamo chiederci con Elisabetta: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1,43). Come in quei giorni, di attesa e primo compimento, Maria fece visita a Elisabetta, così oggi si fa incontro a noi che la riconosciamo Madre del Signore, figura in cui si compie l’attesa dell’Israele umile e povero che aspettava il Messia.

Il saluto con il quale Maria ci precede è eco di quello che ha accolto dall’angelo, parola che veniva da Dio. Più che un saluto, un appello alla gioia: “Gioisci” (Lc 1,28). Il saluto di cui Maria si è fatta portatrice presso Elisabetta vibra ormai di una segreta gioia. Una gioia che avrà il volto e il nome di suo figlio Gesù, “il Signore salva”. Una gioia che Maria non si è data da sé, ma a cui ha fatto spazio, ha creduto, offrendo un grembo di fede, uno spazio protetto perché la gioia di questa salvezza in lei crescesse.

L’esclamazione: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!” (Lc 1,42) è risposta a questo “gioisci” che si comunica di saluto in saluto, dal saluto dell’angelo a quello di Maria, a quello che può riaccendere i nostri incontri più spenti e distratti.

Leggiamo infatti: “Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo” (Lc 1,41). A sussultare di gioia è Giovanni, il bambino concepito da una madre anziana: il grembo di Elisabetta ritenuto da tutti ormai sterile, sterile non era, per Dio. Il Battista sussulta, si mette a danzare di fronte al Veniente, il Messia Gesù, custodito in quei giorni dal grembo di Maria, arca della nuova alleanza.

Un saluto gioioso ci precede, viene a noi e fa sussultare la nostra umanità. È un saluto che risveglia in noi l’umanità che vuole preparare una via al Veniente e invitare altri a volgersi all’Avvento. È un saluto che fa danzare l’umanità che, in noi, scuotendosi dal torpore, vuole fare almeno qualche passo verso colui che ci viene incontro. È un saluto che ci colma di Spirito santo e dona anche a noi lo spirito di profezia di Giovanni: potremo allora riconoscere il Messia, esultare come per un amico, fargli spazio e diminuire perché lui cresca e porti il compimento atteso (cf. Gv 3,29-30).

Perché la nostra vita rimane fondamentalmente incompiuta, in attesa. È l’esperienza che ci accomuna agli ‘anawim, i poveri del Signore, che non hanno scelta: possono solo fare della loro condizione di indigenza, di mancanza, il luogo della speranza, dell’attesa di una beatitudine e di una pienezza che non si possono dare da sé. Una situazione, questa, che si può vivere come “beatitudine” (cf. Mt 5,3) per fede nella Parola che non conosce ripensamenti. 

Se il Signore non è soggetto a “ripensamenti” e non manca di adempiere le sue promesse, siamo piuttosto noi a doverci sostenere reciprocamente nella fede, con saluti e inviti che ci strappino ai nostri ripensamenti e smarrimenti

“A che cosa devo dunque che la madre del mio Signore oggi venga a me?”. Da dove può venirmi un invito alla gioia? Dal Signore in mezzo a noi (cf. Lc 17,21; Is 40,9), se ci testimoniamo gli uni gli altri la parola del profeta: “Gioirà per te” (Sof 3,17).

fratel Fabio