Liberi e leggeri, a due a due

Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)
Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)

14 luglio 2024

XIV domenica nell’anno
Mc 6,7-13
di Sabino Chialà

In quel tempo Gesù 7Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.


Il brano di questa domenica segue immediatamente l’incontro di Gesù con gli abitanti di Nazaret, conclusosi con un’istantanea in cui Marco – e solo lui – ritrae un Maestro pensoso: “E si meravigliava delle loro incredulità” (6,6a). Profondamente umano questo Gesù che, dinanzi alla non-fede (apistía) che egli non può violare, si meraviglia e probabilmente s’interroga su come reagire. Avrebbe potuto lasciarsene scoraggiare o irretire. Sceglie invece di rimettersi in cammino – come annota l’evangelista: “Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando” (6,6b) – e anche di coinvolgere i suoi discepoli in tale nuovo cammino, come racconta il brano di questa domenica.

L’invio in missione dei Dodici, letto nel contesto in cui è inserito nella narrazione marciana, assume così un carattere particolare: figura come la risposta coraggiosa di Gesù dinanzi a uno dei rifiuti più dolorosi con cui ha dovuto confrontarsi, quello avvenuto “nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua” (6,4).

Di fronte a quella contestazione, Gesù non solo non rinuncia alla propria missione, ma la intensifica. Alla crisi e al fallimento segue un nuovo inizio, ancora più libero e fiducioso. Laddove gli orizzonti si restringono, Gesù sceglie di alzare e allargare il proprio sguardo: questo è il suo modo di procedere e a questo chiama anche i discepoli.

Il nostro brano inizia infatti con l’espressione: “Chiamava a sé i Dodici” (v. 7), in greco proskaléitai, un indicativo presente che descrive un’azione continuativa, insistita, come di chi cerca di incoraggiare i discepoli a un’azione senza risparmio e dagli orizzonti ampi. Chiama a sé coloro che aveva già chiamato e costituito, portando così a compimento un processo iniziato sulla riva del lago. Il verbo “chiamare”, qui nella forma composta (pros-kaléo), consente infatti di intuire un filo rosso che lega la chiamata dei discepoli (1,16-20, dove ricorre il verbo “chiamare”, in greco kaléo), al momento in cui li aveva “costituiti … perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (3,13-14, altro luogo in cui torna il verbo “chiamare a sé”, in greco pros-kaléo), e quindi a questo invio in missione. Siamo dunque al terzo momento di un cammino in cui i discepoli sono: chiamati, costituiti e inviati. Prima chiamati individualmente, poi costituiti in un corpo comunitario, quindi innestati nella missione stessa di Gesù, che, per questo, “dava loro l’autorità sugli spiriti impuri” (v. 7), cioè condivide con loro la propria “autorità”, riconosciutagli fin dall’inizio della sua missione: l’autorità di una parola diversa da quella degli scribi (1,22) e di una parola risanatrice (1,27).

Ma per entrare in questa missione, che è la stessa del Cristo, è chiesto ai discepoli di assumere una forma particolare, accuratamente descritta in un passo che possiamo considerare la prima immagine di chiesa che il Nuovo Testamento ci presenta.

Innanzitutto una chiesa in movimento: i Dodici sono “mandati” (v. 7) e si parla di una “strada (hodós)” o un “viaggio” (v. 8) cui devono prepararsi. La missione chiede loro di uscire e di andare incontro, piuttosto che rinchiudersi e attendere di essere raggiunti.

Sono mandati “a due a due”, con un’immagine spiegabile in tanti modi, che non si escludono: due, secondo la Legge (Dt 19,15, citato anche in Mt 18,16 e 2Cor 13,1), è il numero minimo per la validità di una testimonianza; due è il numero per il quale, secondo una parola riportata da Matteo, il Maestro promette la sua presenza (Mt 18,20); due ricorda la vocazione dei primi quattro discepoli, che Gesù aveva incontrato a coppie (1,16-20). Ma, soprattutto, due è il numero minimo perché una comunione sia possibile e dunque: perché l’annuncio sia espressione di una comunità, piuttosto che di un singolo, per quanto carismatico; e perché la prima parola dell’annuncio sia una vita realmente condivisa, piuttosto che tante parole anche ben congegnate. Due, infine, evita la “non bontà” dell’essere solo, secondo la parola della Genesi (Gen 2,18), e la possibilità di un sostegno reciproco, come ricorda Qoelet (Qo 4,9-12). Di questo hanno fatto tesoro le prime generazioni cristiane, come attestano gli Atti con le tante coppie di missionari: Pietro e Giovanni (At 3,1), Barnaba e Saulo (At 11,30), Giuda e Sila (At 15,22), Barnaba e Marco (At 15,39), Paolo e Sila (At 15,40).

Il contenuto dell’invio, ciò per cui i Dodici ricevono l’autorità (exousía), è poi sintetizzabile in un’immagine: liberare dal male. Dice infatti l’evangelista: “Dava loro autorità sugli spiriti impuri” (v. 7). Azione ecclesiale per eccellenza è quella di togliere spazio al male che affligge la vita degli esseri umani. Questa è l’autorità conferita, come riverbero dell’azione del Maestro. Non diffondere una dottrina, ma seminare una parola capace di liberare dal male.

Viene quindi descritto ciò che gli inviati devono prendere con sé e ciò che invece devono lasciare. A differenza di quanto attestato da Matteo e Luca nei passi paralleli, in Marco Gesù chiede che i discepoli prendano bastone e sandali (v. 8-9). La ragione di questa concessione è forse nell’intento di rievocare l’esodo dall’Egitto (Es 12,11) e dunque suggerire il carattere pasquale, di liberazione, della missione cui essi sono chiamati. Ma Gesù chiede anche di rinunciare a pane, sacca, denaro e doppia tunica (v. 8-9). Essenzialità e spoliazione sono caratteri da assumere e rinnovare costantemente. I discepoli, mettendosi alla sequela di Gesù, avevano già “abbandonato” reti e legami (1,18 e 20). Ma egli chiede di saper lasciare anche quello che avrebbe potuto rendere più efficace la loro missione; e alla chiesa di ogni tempo, di resistere alla tentazione di giustificare ciò che contraddice tale essenzialità, con una presunta maggior efficacia della predicazione. Queste indicazioni ci ricordano che lo stile dell’annuncio costituisce la prima parola della chiesa nella sua opera di evangelizzazione.

Gesù invita poi a entrare e a dimorare nella casa di coloro cui si annuncia (v. 10). Sono immagini cariche di significato: l’inviato deve “entrare” nel mondo di colui cui si rivolge, e deve “dimorarvi”. L’annuncio ha bisogno di intimità, non lo si grida con i megafoni. Ma soprattutto chi annuncia deve prima lasciarsi ospitare: deve ascoltare prima di parlare, deve imparare a ricevere prima di dare.

Questo espone al rischio del rifiuto, che Gesù anche prevede. Peraltro, proprio lui ne ha appena fatto l’esperienza nella sua patria. E ai discepoli rifiutati consegna un gesto: “Scuotete la polvere sotto i vostri piedi, come testimonianza per loro” (v. 11). L’immagine è stata variamente spiegata: dalla condanna, al semplice ammonimento. Marco è più essenziale di quanto attestano, nei passi paralleli, Matteo e Luca, e lascia aperta l’interpretazione. Può essere letta come un gesto di rottura e di rispetto allo stesso tempo. Ma anche come un gesto di libertà: di chi dichiara di aver tentato, e che ora rinuncia a forzare. Lascia solo quell’ultimo atto a “testimonianza” di un desiderio che, come il seme, attende un frutto di cui l’apostolo non è tenuto a preoccuparsi.

Così istruiti, i discepoli, “partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano” (v. 13). Fanno quello che Gesù ha fatto: invitano alla conversione, che attesta l’avvicinarsi del Regno (1,15), e operano per la liberazione dal male. Ne risulta un’immagine di chiesa in movimento, agile e leggera, capace di dimorare con gli uomini e le donne cui porta l’evangelo, e che lotta perché il male arretri e la vita avanzi.


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