Lettera agli amici - numero 13

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Pentecoste 1982

La lettera della Pentecoste 1982 è tutta incentrata sulla pace. La lettera reca la data del 3 giugno 1982, anniversario della morte di Giovanni XXIII, quando la guerra tra Argentina e Regno Unito per le Isole Falkland non era ancora conclusa. Lo fu solo il 14 giugno 1982, dopo dieci settimane di combattimenti nelle piccole isole dell’Atlantico distanti quasi tredicimila chilometri da Londra, in mano inglese dal 1833 e una colonia della Corona dal 1841. La guerra scoppiò nell’aprile 1982 dopo l’invasione da parte delle truppe argentine al tempo della dittatura militare e della “sporca guerra” contro i nemici del regime (1976-1983). Il governo di Margaret Thatcher rispose inviando un contingente militare; anche grazie alla vittoria militare il partito conservatore trionfò nelle elezioni politiche dell’anno dopo. Uno degli episodi più controversi della guerra delle Falkland fu, il 2 maggio 1982, l’affondamento dell’incrociatore argentino Belgrano: oltre trecento membri dell’equipaggio persero la vita. La nave stava navigando lontano dalla zona dei combattimenti e dalla “zona di esclusione” di 200 miglia proclamata dagli inglesi.

Il Vaticano si attivò per far cessare le ostilità. Fin dall’arrivo e in altre occasioni durante il viaggio apostolico in Gran Bretagna (28 maggio-2 giugno 1982), Giovanni Paolo II pronunciò appelli per la pace, chiamando alla “riconciliazione tra nazioni e tra popoli di differente razza e cultura; riconciliazione dell’uomo con se stesso e con la natura; riconciliazione tra persone di differente condizione sociale e di differente fede; riconciliazione tra cristiani”. Solo nove giorni dopo, l’11 giugno 1982, Giovanni Paolo II arrivava in Argentina (per un viaggio la cui tappa argentina fu organizzata in pochi giorni) per chiedere la pace. Poco tempo prima il papato era intervenuto nell’area, con la mediazione pontificia del dicembre 1980 sul “Beagle conflict”, il canale di Beagle al confine meridionale tra Argentina e Cile. Una riapertura delle ostilità attorno a quell’area di confine (per il quale in Regno Unito aveva avuto in precedenza funzione di arbitro) faceva parte delle intenzioni della dittatura argentina per una fase successiva all’invasione delle Falkland.

Il 23 gennaio 1984 Cile e Argentina firmarono una dichiarazione congiunta di pace e di amicizia, ribadendo la volontà di giungere a una soluzione della controversia sottoposta alla mediazione di Giovanni Paolo II. Il trattato di pace tra Cile e Argentina fu firmato il 29 novembre 1984. La guerra delle Falkland ha invece continuato per lungo tempo a occupare la memoria e le relazioni tra Argentina e Regno Unito. Le relazioni diplomatiche tra il Regno Unito e l’Argentina sono state ripristinate dopo il trattato del 1989, ma nessuno dei due paesi ha cambiato posizione riguardo alla sovranità delle Isole Falkland. Leader politici e presidenti dell’Argentina hanno continuato a dichiarare le Isole Falkland come parte di una delle province della Repubblica.

La “lettera agli amici” notava il contrasto tra lo sforzo della chiesa di operare per la pace e la recezione di questo messaggio. Quelle per le isole Falkland fu una guerra tra due paesi in cui l’identità cristiana (cattolica per l’Argentina, anglicana per il Regno Unito) faceva e fa parte di un sistema costituzionale di chiesa di stato ma anche, per lungo tempo, anche di una ideologia di potere (nazionalista per l’Argentina, coloniale per il Regno Unito). Come per la dittatura militare, anche per la guerra delle Falkland la chiesa cattolica in Argentina tenne una posizione ambigua, se non di aperto sostegno nazionalista all’avventura militare.


Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano,

in questi giorni della Pentecoste, giorni di invocazione dei frutti dello Spirito Santo tra cui eccelle la pace, vi scriviamo questa lettera per dirvi la nostra 'vicinanza, e per manifestarvi cosa ci brucia nel cuore, cosa portiamo nella preghiera incessante davanti al Signore del mondo e della Chiesa.

Vivendo in mezzo agli uomini, nella compagnia degli uomini, come voi non possiamo far altro in questi giorni che pensare alla pace, perché questa è minacciata, perché questa è violata e disprezzata in più parti della terra.

Sembra addirittura che con questa guerra anglo-argentina fatta con armi convenzionali si voglia sperimentare come la guerra sia ancora possibile senza il ricorso alle armi nucleari, senza più la paura di un genocidio irreparabile che alcune volte in questi ultimi decenni ha frenato i potenti di questo mondo. Parlando di pace quali cristiani non vogliamo tanto avvalerci di un diritto, quanto adempiere a un dovere costitutivo della nostra vocazione partecipando quella speranza che come chiesa possediamo perché speranza derivataci dall'annuncio di pace del Vangelo. Non vogliamo nemmeno unirci al coro di coloro che parlano di pace pressati dalla moda stagionale vanificando la pace di Cristo e riducendo la pace a una assenza di conflitti armati tra le nazioni. Se parliamo di pace è perché sappiamo che su questo tema la Chiesa gioca la propria fedeltà al Signore e misura la propria capacità di testimoniare l'Evangelo rispondendo ai drammi della storia umana.

Noi dobbiamo chiederci allora innanzitutto perché nonostante un magistero ecclesiale autorevole e davvero solerte sul tema della pace, perché nonostante un assiduo parlare della pace nei giorni nostri siamo poi costretti a misurare una certa sterilità, un'impotenza del nostro annuncio di pace. Noi dobbiamo chiederci perché in questi giorni due nazioni, i cui cittadini in gran parte si vogliono popolo di Dio cristiano, siano approdati alla guerra. Dobbiamo chiederci se non manca al nostro parlare di pace, un'anima, una dimensione di profondità che coinvolga le nostre radici umane fino alla conversione, se non ci manca quella operatività che deriva dalla preghiera, dall'assiduità del credente con il suo Signore che è la pace!

La pace non coinvolge solo la sfera etica dell'uomo ma rivela la sua essenza e si attua quando penetra nel cuore del mistero cristiano che è ascolto di Dio, abbandono in lui, intercessione per tutti gli uomini. Prima di emergere come pace terrena, come pace sociale infraumana, la pace è sovrumana, sovracosmica perché sgorga da Dio solo il quale, amando l'uomo di amore folle, ha riconciliato nel Figlio tutte le cose. La vera pace è immagine ed effetto della pace di Cristo è la contropartita terrestre della gloria che Dio ha nei cieli quando regna sull'umanità (cfr. Lc 2.14), è il dono offerto ad ogni uomo perché co-estensivo all'amore di Dio rivelatosi in mezzo a noi fino all'effusione dello Spi-rito Santo su tutto l'universo.

C'è una discriminante tra la pace autentica voluta da Dio e proposta da lui all'uomo e la pace che l'uomo nel suo egoismo vorrebbe darsi, la pace mondana. Nella storia c'è sempre chi dice "pace e sicurezza" invocando in realtà la rovina (1Tess 5.3), sono sempre in scena i falsi profeti che parlano di pace, ma il credente è avvertito che la vera pace nasce dalla conversione, nasce addirittura da una violenza che dev'essere esercitata su se stessi proprio per non esercitarla sugli altri. Gesù ci ricorda che il Regno di Dio esige violenza e che solo i violenti se ne impadroniscono (Mt 11.12), ci dice di essere venuto a portare la spada e non la pace (Mt 10.34) e quando ci ha consegnato lo shalom ci ha detto "Vi dono la pace, vi dò la mia pace, non quella del mondo" (Gv 14.27). Può essere per noi scandaloso ma la pace, è essenzialmente dono di Dio è qualcosa che si riceve da lui e che l'uomo non può darsi da se stesso. Noi possiamo predisporre situazioni, possiamo aspirare alla pace, ma questa resta dono di Dio. Noi siamo portati a pensare che la pace possa nascere da un'evoluzione di fattori storici, di cause interne al mondo, che possa nascere da uno sviluppo di rapporti tra le nazioni, di un ritrovamento di mezzi diversi dalla guerra tra le nazioni, di un ritrovamento di mezzi diversi dalla guerra per la risoluzione dei conflitti, ma non è così! Noi vorremmo che la pace fosse nostra, ma non è così! L'uomo è un essere diviso, un essere in lotta contro se stesso e contro i fratelli e contiene in sé la realtà della violenza perché porta in sé il peccato, la morte, il male. Le vie della pace sono praticabili, la violenza o la guerra non sono un fatto ineluttabile che pesa sugli uomini, ma la via della pace richiede mutamento di mentalità, di atteggiamenti, mutamento nei rapporti con gli uomini e con Dio: esige dunque conversione, rifiuto delle idolatrie, ricerca della giustizia.

La pace è un dono di Dio a caro prezzo perché richiede il ripudio dell'idolatria che produce inevitabilmente ingiustizia, violenza, guerra, odio. L'uomo in quanto peccatore è e sarà sempre sotto la minaccia della guerra ma in quanto riesce a vincere il peccato vincerà anche la violenza approdando alla pace. Per questo se pure è vero che la pace è un dono di Dio è affidata agli uomini e deve perciò essere un impegno: la pace va pregata.

Non si tratta di eliminare o attenuare l'impegno storico, la prassi della pace: al contrario si tratta di potenziarla e renderla efficace, ponendo però quale fonte della pace la preghiera. Se la pace è conosciuta nella sua verità attraverso la Parola, se ci è donata nell'assiduità con la Parola, può allora scaturire come azione e prassi dalla preghiera. Nessuna evasione, nessun privaticismo, nessun intimismo della pace, ma occorre e serve pregare per la pace!

Cari amici non dimentichiamo questa qualità e questa necessità della pace cristiana. Quando Dio si pentì di aver creato l'uomo a causa della violenza presente sulla terra (cfr. Gn 6-8) un uomo, Noé, trovò grazia ai suoi occhi perché camminava con Dio. Venne il diluvio ma l'umanità e gli animali tutti furono salvati grazie a Noé e continuarono a vivere. Se anche una nuova catastrofe fosse preparata oggi ricordiamolo: basterebbe un credente che prega camminando con Dio per vedere mutata la nostra storia: Dio è con noi sempre presente, pronto a decidere la pace con chi prega, pronto a darla in dono a tutti gli uomini. Invochiamo dunque la pace, preghiamo per la pace e saremo costituiti uomini di pace, e quindi chiamati figli di Dio perché testimoni di pace tra gli uomini. Questi sono i giorni della Pentecoste. Chiediamo al Signore di darci una novella pentecoste e di dispensarci i suoi doni tra i quali la pace, che è poi una presenza, il Messia, il Dio con noi, lo shalom eterno ...

I fratelli e le sorelle di Bose

3 giugno 1982, memoria di Giovanni XIII,
papa nei giorni della Pentecoste



Lettera agli amici - numero 13

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