L’ascesi della gioia

132226c094313077a87b5ee9f9c36751.jpg

12 dicembre

Fratelli, sorelle,

la III domenica di Avvento è un pressante invito alla gioia nel Signore. La nostra Regola ricorda molte volte questa dimensione come costitutiva del vivere monastico. E non potrebbe essere diversamente per una vita che vuole esprimere il vangelo, la gioiosa notizia. Infatti, non può che essere con gioia che si risponde agli appelli del vangelo, ricorda la Regola (RBo 4). Si tratta di accogliere le decisioni della comunità con gioia, non con mormorazione o addirittura disprezzandole (RBo 27), è con gioia che si accolgono gli ospiti (RBo 39) e che si celebra la preghiera comune (RBo 35). In sintesi è l’intera esistenza che è chiamata a essere vivificata dalla gioia: “Vivi con gioia” (Rbo 47). In particolare si annota che il mostrarsi gioiosi nel Signore (RBo 14) si oppone all’attirare l’attenzione su di sé con atteggiamenti di tristezza esibita e mostrandosi sempre immusoniti e arrabbiati con tutti. E facendo eco all’insegnamento paolino si esorta a praticare la virtù della gioia in mezzo alle sofferenze della vita quotidiana e alle persecuzioni (RBo 2).

Ora la gioia che viene comandata, la gioia “nel Signore”, non coincide con l’umore del momento, non collima con la situazione emotiva che la persona sta vivendo. Nasce dalla fede. Ovvero dall’avere in sé il pensiero del Signore, dal custodire fisso nel proprio cuore il ricordo del vangelo, dal vivere in mezzo agli altri con la parola del Signore fissa nel cuore e dunque con la capacità di vivere e mostrare gioia anche in mezzo a tribolazioni. Non si tratta di falsità, di finzione, ma di verità. Certo, di verità di fede. Questo è un aspetto molto concreto e pratico dell’essere nel mondo ma non del mondo, del vivere escatologicamente. Nel vivere la gioia anche in mezzo a tribolazioni e a situazioni di inimicizia noi diamo realtà alla parola evangelica per cui i cristiani sono nel mondo, in mezzo a tutti, ma non del mondo, non mondani. Se si dice che la vita monastica è un vivere altrimenti, ebbene la testimonianza della gioia anche quando e dove le situazioni esterne non invitano alla gioia, è narrare concretamente questo “altrimenti”.

Inoltre occorre sempre ricordare, con molta semplicità ed elementare buon senso, che le nostre emozioni, i nostri sentimenti esercitano un potere, sono contagiosi, si diffondono sugli altri e li influenzano. E diffondere gioia è certamente più sano e terapeutico che trasmettere malumore. La gioia ha potere di sanare, la tristezza ha potere di ammalare. Certo, mostrarsi gioiosi significa anche avere una vita interiore, un controllo sulle proprie emozioni, il non esserne in balìa, il non lasciarsene dominare, il non riversarle fuori di sé sugli altri costantemente, significa cercare di estendere la parola del vangelo anche sulla nostra vita emotiva. Altrimenti la fede resta solo un fatto di ritualità o di intelletto o di parole, ma non di vita profonda. La conversione ci chiama dunque all’ascesi della gioia, all’esercizio della gioia.

Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e vivendo nella gioia secondo il vangelo. E tu, Signore, abbi pietà di noi.

fratel Luciano